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Anno edizione: 2019
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Una pseudo scrittrice. Il suo metodo era semplice: un lunghissimo, infinito delirio, che qualcuno chiama "poesia", ma che in realtà, oltre ad essere mediato dalla razionalità, faceva parte del tipico atteggiamento di una certa elite - "filosofica " - la quale aveva deciso, da un certo punto in poi, (diciamo da Nietzsche in poi, per semplificare), che l'indirizzo dell'umanità sarebbe stata la follia: ciò che comunemente viene chiamato decadentismo. I cultori del messianico poi, fecero coincidere l'ideale della follia nietzscheana superomistico-vitalistica (la vita senza se e senza ma, guai a lamentarvi, brutti risentiti, se c'e qualcuno piu forte di voi e perche deve essere cosi e basta), con le opere di santi e mistici vari. Il metodo si utilizza ancora oggi a pieno regime: vedi certa psicoanalisi pretesca, con le ginocchia sui ceci ai seminari lacaniani. Ecco che allora la Lispector, in linea con l'ideologia di quegli anni, dominata dalla cosiddetta "controcultura", seguiva a menadito il catalogo del vero decadente. Il vero decadente vuole vivere. Più soffre, più vive. Cerca superamenti, predica la fine dell'io, suda e trema. Non trova nulla? E allora inventa. Le protagoniste dei libri della Lispector trovano sempre la trascendenza. Mangiano blatte e scoprono la vita. Si immaginano spose di Dio, e altre cosucce da TSO. E a rimarcare quanto sia falsa tutta la questione editoriale Lispector, basta ricordare che non importa quale libro della suddetta autrice si voglia leggere, tanto sono tutti uguali. La nostra non solo ha trovato la trascendenza, ma l'ha trovata più di una volta. Per trovarla le basta scrivere... molto comodo. Per fortuna si può scrivere anche nel modo contrario. Cosi alla fine scopri che di questo Verbo non ti puoi affatto fidare.
'Macabro' è il termine chiave per descrivere questo monologo edito Feltrinelli che è 'La Passione Secondo GH'. Protagonista di cui non conosceremo mai il nome, di cui eloggiamo quello che sembra uno stralcio di lettera o diario personale fatto di emozioni ed interlocutori che, al di fuori di Dio, rimangono anch'essi innominati e sconosciuti. GH ci viene presentata come una donna bianca che è colma di peccati molto diversi tra loro: facendo riferimento al passato, esprime la sua intolleranza nei confronti della cameriera, il suo razzismo e situazioni che l'hanno portata fino a lì, in particolar modo ricordiamo l'amore, che identifico di più con l'ossessione (cosa che si nota leggendo). Ma è la blatta, che GH incontra dopo un po' rispetto all'inizio del racconto, a diventare protagonista del monologo: GH ama la blatta, è la blatta, ma allo stesso tempo la odia e ne è disgustata; vuole farla fuori ma allo stesso tempo mangiarla ed essere lei. È anche tramite lei che si rende finalmente conto di essere umana e nient'altro che questo. Il finale del monologo è un po' pesante e infatti descrive la rinascita di un personaggio che non conosciamo mai, che apre gli occhi e comincia a vivere ed amare. Non ho per niente empatizzato con lei, anche perché fino alla fine non sappiamo praticamente nulla. Anche il modo di scrivere dell'autrice è molto confusionario e ripetitivo, cosa che in questo mi ha leggermente annoiato. Sicuramente qualcosa di adatto a chi cerca un piccolo monologo disturbante.
Una donna entra nella stanza dell' ex cameriera e lì scopre un disegno a carboncino sulla parete,mentre dall' armadio sguscia una blatta,animale che l'ha sempre disgustata,la donna lo uccide e da lì inizia un lungo dialogo interiore sulla sua vita,su come è e su come pensava che fosse,si apre una vera crisi esistenziale,che la donna,mettendosi a nudo e guardando in faccia la realtà la porterà a superare quel senso di smarrimento che la attanaglia.
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