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Anno edizione: 2019
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'Macabro' è il termine chiave per descrivere questo monologo edito Feltrinelli che è 'La Passione Secondo GH'. Protagonista di cui non conosceremo mai il nome, di cui eloggiamo quello che sembra uno stralcio di lettera o diario personale fatto di emozioni ed interlocutori che, al di fuori di Dio, rimangono anch'essi innominati e sconosciuti. GH ci viene presentata come una donna bianca che è colma di peccati molto diversi tra loro: facendo riferimento al passato, esprime la sua intolleranza nei confronti della cameriera, il suo razzismo e situazioni che l'hanno portata fino a lì, in particolar modo ricordiamo l'amore, che identifico di più con l'ossessione (cosa che si nota leggendo). Ma è la blatta, che GH incontra dopo un po' rispetto all'inizio del racconto, a diventare protagonista del monologo: GH ama la blatta, è la blatta, ma allo stesso tempo la odia e ne è disgustata; vuole farla fuori ma allo stesso tempo mangiarla ed essere lei. È anche tramite lei che si rende finalmente conto di essere umana e nient'altro che questo. Il finale del monologo è un po' pesante e infatti descrive la rinascita di un personaggio che non conosciamo mai, che apre gli occhi e comincia a vivere ed amare. Non ho per niente empatizzato con lei, anche perché fino alla fine non sappiamo praticamente nulla. Anche il modo di scrivere dell'autrice è molto confusionario e ripetitivo, cosa che in questo mi ha leggermente annoiato. Sicuramente qualcosa di adatto a chi cerca un piccolo monologo disturbante.
Una donna entra nella stanza dell' ex cameriera e lì scopre un disegno a carboncino sulla parete,mentre dall' armadio sguscia una blatta,animale che l'ha sempre disgustata,la donna lo uccide e da lì inizia un lungo dialogo interiore sulla sua vita,su come è e su come pensava che fosse,si apre una vera crisi esistenziale,che la donna,mettendosi a nudo e guardando in faccia la realtà la porterà a superare quel senso di smarrimento che la attanaglia.
Sai che è lì, ma non puoi vederla, o toccarla, ma c'è. Esiste. È segreto di sé stessa, e manifesta, non è eccedenza come le parole, è minima, meno del minimo. Così tanto nuda da sembrare di essere insignificante, banale, noiosa. In purezza assoluta, la vita.
Recensioni
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La passione secondo G.H. (143 pagine, 8,50 euro) è pubblicato in Brasile nel 1964, quando Clarice Lispector aveva alle spalle oltre vent’anni di carriera letteraria, da quel fortunato 1944 che aveva visto l’uscita del primo romanzo di una giovanissima Lispector dal titolo Vicino al cuore selvaggio. Con la recente ristampa del libro per Feltrinelli, tradotto da Adelina Aletti, insieme alla raccolta di racconti Legami familiari, il romanzo Un apprendistato o il libro dei piaceri nonché l’antologia di tutti i racconti a cura di Roberto Francavilla, abbiamo colto l’occasione per ricordare un testo miliare della letteratura brasiliana.
Nella famosa intervista del 1977, l’unica che Clarice Lispector ha rilasciato per la tv, la celebre scrittrice brasiliana ha affermato che la reazione dei lettori dinanzi ai suoi libri ha poco a che fare con la comprensione e molto di più, invece, con il sentire. E davvero quando parliamo del libro La passione secondo G.H. parliamo di pura sensibilità. E anche dello sforzo disumano di tradurre in parole il nostro sentire, di cogliere l’esistenza mentre essa è e accade. Il lettore abbandona il tempo presente, il passato e il futuro e si immerge in un gerundio onnipresente.
Come in tutti gli scritti della Lispector la trama è esile: una donna, di cui conosciamo solamente le iniziali (G.H.), decide di riordinare casa in assenza della domestica Janiar, la quale ha smesso di prestare servizio presso la sua abitazione. La protagonista, narratrice in prima persona, decide di iniziare la sua attività proprio dalla stanza della domestica, immaginando che qui il disordine sia maggiore rispetto alle altre stanze della casa. Con sua sorpresa troverà una stanza asettica e pulita ma la scoperta di una blatta che fuoriesce dall’anta di un armadio costituisce il punto di partenza di un lungo viaggio interiore.
Se infatti G.H. è l’incarnazione di un’idea di persona, di quell’organizzazione in cui si traduce lo sforzo di vivere, l’episodio apparentemente banale della scoperta di uno scarafaggio fa emergere in tutta la sua forza la paura di essere, perché il sentimento di esistere svela che la vita è qualcosa di diverso da ciò che si pensa. G.H. scopre che il mondo finora vissuto l’ha trasformata in ciò che gli altri l’avevano sempre vista essere: una persona che porta un nome con due iniziali, G e H. Ora, invece, è proprio la sua vita interiore, quella nascosta agli occhi degli altri, che le rivela una visione completamente diversa dell’esistenza: percepire il proprio essere e il proprio vivere è sentire la vita e le cose in tutta la loro pienezza, in tutta la loro estasi di gioia, di piacere ma anche di dolore, di passione, appunto, che conduce al superamento dell’identità, del proprio io, della propria vita singola e individuale.
L’impresa della narratrice consiste nello sforzo di «lasciar venire a galla un senso», di dare una forma a ciò che le è accaduto attraverso la parola scritta e all’aiuto di un tu al quale sente di dover stringere la mano per non lasciarsi immergere completamente nell’ignoto dell’esistenza e della sua verità. Ma poiché «vivere non è narrabile, vivere non è vivibile», la parola non basta e sarà necessario creare sulla vita e sforzarsi a tradurre «segnali telegrafici» in un «linguaggio sonnambulo» che crei ciò che le è accaduto. “Creare non è immaginare, è correre il rischio grande di accedere alla realtà, capire è una creazione”. La genialità della Lispector trova un linguaggio che trascende le cose stesse e che sapientemente si colloca “nell’abisso tra la parola e ciò che essa cercava”, “negli interstizi della materia primordiale” e che conduce il lettore al nucleo dell’esperienza trascendente: “la cosa che io vedevo era la vita che mi guardava”.
E la blatta, vi chiederete? La blatta è la porta di ingresso per la verità e di più non voglio svelare. Mettetevi comodi, lettori, e preparatevi a lasciar andare le piccole certezze sulle quali costruiamo la nostra quotidianità, la «terza gamba» che ci ancora a terra e che l’autrice non indica chiaramente ma che possiamo ricondurre alla nostra cultura, alla nostra formazione, alla nostra moralità e convinzioni. Avere «le due gambe che camminano senza più la terza che tiene prigionieri» è libertà pura e spaventosa. È pura gioia. Buona lettura “eventuali lettori”, a voi è dedicata l’epigrafe di questo grande libro: che sia una sfida alla lettura e non un monito.
Recensione di Silvia Gasparoni
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