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Durante la cosiddetta “bella epoca” si sviluppa in tutta Europa il pacifismo, non una generica aspirazione alla pace, ma la convinzione che si possano evitare le guerre con accordi e arbitrati. Un pacifismo di ispirazione laica e democratica, diverso da quello socialista o cristiano. Il libro che qui segnaliamo ricostruisce la vicenda del pacifismo democratico italiano nel secondo decennio del secolo scorso. Una storia, perciò, che investe una fase drammatica, quando il movimento, organizzatosi a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, deve confrontarsi con le dure repliche della cronaca. C’è anzitutto la guerra di Libia che incrina l’equilibrio giolittiano e provoca le prime spaccature nel pacifismo nostrano; poi la crisi epocale: lo scoppio del primo conflitto mondiale cui segue la controversa entrata in guerra dell’Italia. In quella circostanza quasi tutti gli esponenti pacifisti sono per l’intervento, con le parole d’ordine della “guerra per la pace” o della “guerra contro la guerra”. Infine c’è la confluenza nella proposta wilsoniana della Società delle nazioni che rinnova, per una breve stagione, la speranza di porre finalmente al bando ogni guerra. Basato su un ampio scandaglio archivistico, il volume è articolato in quattro capitoli in cui sono analizzate con perizia e passione le vicende del movimento pacifista italiano. Se in primo piano è la ricostruzione degli avvenimenti e delle scelte politiche compiute volta a volta, non è trascurata la dimensione ideale, ricondotta a diverse matrici: il liberoscambismo, il pacifismo istituzionale, l’eredità mazziniana e risorgimentale. Analogamente, se più ampio spazio è dedicato alla personalità principali del movimento, da Teodoro Moneta a Edoardo Giretti e ad Arcangelo Ghisleri, non mancano i riferimenti ai quadri intermedi.
Recensione di Maurizio Griffo.
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