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L'attentato a Graziani del 19 febbraio 1937 ad Addis Abeba permise al fascismo di avviare in Etiopia un'indiscriminata campagna repressiva. Si intendevano colpire le tradizionali élite dirigenti del paese, il clero copto e l'aristocrazia amarita, accusate di essersi sottomesse solo formalmente al governo coloniale italiano. A questo disegno politico va ricondotta anche la decisione, assunta nella primavera-estate del '37, di confinare in Italia circa 400 fra aristocratici e religiosi, sospettati di costituire un potenziale pericolo, a dispetto della loro manifesta fedeltà al fascismo. Un episodio poco noto, oggi ricostruito da Paolo Borruso grazie allo studio delle lettere inviate dai confinati ai propri familiari e alle autorità italiane, conservate presso l'Archivio del Ministero degli esteri e l'Archivio centrale dello Stato. Si tratta di documenti di grande interesse per la storia delle istituzioni repressive del fascismo e soprattutto per la storia dell'Africa orientale. Esse, infatti, permettono allo studioso di ricostruire l'impatto avuto sulla società etiope dalla conquista italiana attraverso una fonte scritta di provenienza africana, che documenta, come sottolinea Borruso nella prima parte del libro, le strategie diversificate adottate dai singoli e dai gruppi di fronte alla dominazione straniera. Strategie che rispecchiavano la complessità sociale ed etnica del paese, che il fascismo, pur con una politica all'insegna del divide et impera, finì per sottovalutare, e che non possono essere ridotte, se non a rischio di una grave semplificazione, all'alternativa sottomissione/resistenza, insufficiente a dar conto della disponibilità a collaborare, presente in molti ambienti della classe dirigente etiope, così come della gamma di atteggiamenti diversi adottati dalla popolazione.
Cesare Panizza
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