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Prima di questo libro avevo letto solo Rue des Boutiques Obscures che mi era piaciuto molto con la sua atmosfera inquietante. Due anni fa mi trovavo in stazione a Bruxelles con la prospettiva di un viaggio di tre ore da affrontare senza nulla da leggere per cui mi sono fiondata in libreria dove ho trovato il nuovo Modiano fresco di stampa. L'ho divorato tutto durante il tragitto ed è stato uno stimolo per scoprire l'universo dei romanzi dello scrittore in cui ritornano nomi, episodi e racconti contenuti in Pedigree. Spero che in Italia venga tradotta al più presto la nuova fatica dell'autore (Dans le café de la jeunesse perdue) che è davvero un gioiellino in puro stile Modiano.
libercolo anche gradevole, certo né la lunghezza né lo stile "telegrafico" (o cronachistico, volendo essere buoni) depongono a favore dell´attuale ispirazione di Modiano. peró il francese é scrittore vero, e bisogna ammettere che un paio di zampate le dá, per cui, accontentandosi, ci si puó togliere qualche soddisfazione (anche perché si legge in un paio d´ore).
Recensioni
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Tra il settembre e il novembre del 1978, i due premi letterari allora più visibili per i media, il Goncourt e il Médicis, imposero all'attenzione dei lettori francesi due romanzi estremamente diversi tra loro: lo smilzo Rue des Boutiques Obscures del trentatreenne Patrick Modiano e lo smisurato capolavoro del quarantaduenne Georges Perec, La vie mode d'emploi. Nessuno sembrò sospettare allora che una rete di singolari affinità tematiche apparentasse l'universo di Perec, caratterizzato da un puntiglioso iperrealismo, con il mondo flou di Modiano, in cui un protagonista dall'identità incerta si muoveva sulle tracce del proprio evanescente passato. Eppure, per cogliere quella rete, sarebbe bastato accostare al romanzo di Modiano il sottilissimo volumetto che Perec aveva pubblicato all'inizio di quello stesso anno, Je me souviens: raccolta di briciole di memoria collettiva rintracciate con maniacale diligenza, a sottolineare il naufragio novecentesco di quella memoria più intima e individuale cui Proust aveva elevato il grandioso monumento funebre della sua Ricerca del tempo perduto. È questo naufragio a sospingere tanto Perec quanto Modiano verso un'oggettività radicalmente diversa da quella dei nouveaux romanciers: una sorta di oggettività-rifugio, guscio protettivo di un io pietrificato da lutti inassimilabili (per Perec la morte della madre, per Modiano quella del fratellino Rudy) e accerchiato dalle tragedie della Storia. In W o il ricordo d'infanzia (1974; cfr. "L'Indice", 2006, n. 1) Perec affida a una voce apparentemente impassibile la descrizione di un atroce universo concentrazionario; in Dora Bruder (1997; cfr. "L'Indice", 1998, n. 8)Modiano documenta con pacata precisione la vicenda di una ragazzina ebrea la cui fuga attraverso la Parigi occupata si concluderà con la morte. In entrambi i casi, alla parola che denuncia, depreca, commisera, si sostituisce una voce sommessa che descrive piccole foto in bianco e nero o cita dettagli materiali di straziante precisione: la resurrezione di quel che la Shoah e la guerra hanno cancellato passa attraverso questa poetica della discrezione, questa pietas antimonumentale, custode ostinata dell'individuale e dell'inapparente.
Proprio su questa linea, con rigore, si sviluppa Un pedigree, racconto di un'infanzia e di una giovinezza di cui Modiano si sente più testimone che protagonista: "Scrivo queste pagine come si redige un verbale o un curriculum vitae precisa a titolo documentario e probabilmente per farla finita con una vita che non è la mia". L'espressione "a titolo documentario"è molto importante: sottolinea il fatto che siamo di fronte alla prima opera narrativa in cui Modiano rinuncia a una delle sue più costanti pratiche letterarie, quella contaminazione balzachiana tra realtà e finzione che in tanti suoi libri precedenti lo portava ad affiancare, nella stessa pagina, nomi, indirizzi e dati biografici scrupolosamente autentici ad altri inventati di sana pianta. Qui le coordinate temporali e spaziali della sua vita, sino al giugno 1967, data in cui Gallimard accetta di pubblicare il suo primo romanzo, sono tracciate rispettando la realtà effettuale: quando una lacuna della memoria fa esitare il narratore tra due date, questa esitazione ci è riferita fedelmente.
Una ricostruzione scrupolosa ci restituisce la carriera di attrice della madre, "ragazza carina dal cuore duro", che incontra, nella Parigi del 1942, l'ebreo Albert Modiano e condivide con lui la frequentazione di un mondo ambiguo in cui attori, affaristi e demi-mondaines sopravvivono come possono all'ombra dell'esercito occupante. Il dopoguerra vede la coppia sfasciarsi e vivere sempre più di espedienti, dopo un breve periodo di prosperità: il prestigioso appartamento di tre piani sulla Senna si degrada negli anni, sino a divenire una sorta di squallido rifugio privo di riscaldamento, le attività affaristiche del padre sono sempre più fallimentari e l'esistenza della madre sempre più precaria. Sballottato di collegio in collegio, sino all'incontro provvidenziale con Quenau che crederà alla sua vocazione letteraria, Patrick vive in un vuoto affettivo colmato soltanto, sino al 1957, dal fratellino Rudy. È nell'angoscia di questo vuoto che comincia, nel 1959, a "sognare" la propria vita, tra i caffé e i teatri di Montmartre dove recita sua madre. Da questo "sogno", in cui coesistono la poesia straziata di un'infanzia interrotta e la precoce, ossessiva curiosità per i "misteri di Parigi" (quelli dell'occupazione, ma anche quelli della cronaca nera), nascerà la tonalità originalissima della sua opera romanzesca: le atmosfere notturne e nebbiose dei primi romanzi , non meno della luce cruda, abbagliante, senza ombre, di questo Pedigree.
Mariolina Bertini
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