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Il volume esamina in sintesi il pensiero di quattro grandi classici del Rinascimento (Machiavelli, Guicciardini, More e Castiglione), sottolineando la presenza della storia nella loro riflessione: le guerre d'Italia nei primi anni del Cinquecento suggeriscono infatti una "cultura dei conflitti", ovvero un "pensiero ossimorico" (come la teoria machiavelliana degli "umori" e la sua rivalutazione della lotta politica), che "insiste sulle antitesi fra virtù e fortuna, ragione e follia, libertà e necessità, dignitas e indignitas hominis". Questa "plurivocità e varietà del pensiero rinascimentale" – prima del drastico "disciplinamento confessionale e assolutistico" attuato nel tardo Cinquecento – si manifesta in un'appassionante dialettica fra "realismo e utopia" che percorre le pagine dei trattati e ispira l'azione dei politici. Si pensi alla lucida strategia e insieme all'utopismo profetico di Gerolamo Savonarola, ma si pensi anche alla carica di violenta denuncia che l'utopia porta con sé: il sogno erasmiano di pace universale si può capovolgere a ogni istante – come un guanto – nell'ombra della follia, nella "disincantata consapevolezza del 'legno storto' dell'umanità". Il progetto della politica resta dunque intrecciato, nel Rinascimento, al controcanto dell'ironia; e l'appassionato studio della "lezione degli antichi" si accompagna sempre al sentimento del presente: un presente drammatico, specchio difforme di una civiltà dominata da "grandi mali e grandi beni". Nel quarto libro del Cortegiano di Castiglione, non a caso, si evocano dei governanti che appaiono sì "col volto imperioso e costumi austeri, con vesti pompose, oro e gemme", ma che assomigliano ai pupazzi di cartapesta del carnevale: "Similitudine di grandi omini e cavalli trionfanti e dentro erano pieni di stoppa e di strazzi". Come i Sileni di Erasmo, ma rovesciati.
Rinaldo Rinaldi
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