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Luciano Manicardi, monaco di Bose, dedica un'approfondita riflessione all'esperienza del pentimento, "occasione di verità, via per ritrovare autenticità nei rapporti con se stesso, con gli altri e con Dio, dopo aver sperimentato, con il peccato, l'allontanamento da se stesso, dagli altri e da Dio". Attraverso questo percorso di conoscenza di sè, di scandaglio interiore, di ripensamento e recupero, che si definisce come un'intuizione spirituale, "corporea, psicologica e affettiva", prendiamo atto della nosta tenebra, entriamo nel dolore e nella nostra colpa, ma risorgiamo a noi stessi e al mondo attraverso la misericordia e il perdono del Signore. Manicardi individua proprio nel pentimento e nel perdono la grandezza del critianesimo, la sua unicità. E sottolinea che in alcuni passi della Scrittura è Dio stesso a pentirsi del male e del castigo che aveva deciso: " nel suo nome è già implicato il peccato dell'uomo". Proprio nella tensione esistente tra perdono e castigo, tra condanna e salvezza, tra persistenza nel male e conversione si situano le considerazioni più coinvolgenti e stimolanti di questa meditazione. E nel rilevare che oggi il pentimento è stato svuotato di considerazione dalla diffusione di pratiche psicoterapeutiche che propugnano una morale senza peccato, una cancellazione del senso di colpa, perché si tende a vivere il cristianesimo soprattutto nella sua dimensione militante e sociale, Manicardi richiama alla millenaria tradizione monastica e patristica, che legge nel pentirsi la strada per eccellenza che conduce alla conoscenza di Dio, alla compassione per gli altri, al giusto amore di sè. C'è tuttavia da chiedersi se la Chiesa non abbia nei secoli insistito troppo sui concetti di peccato e di colpa (quanti "Atti di dolore", quanti eccessivi "Confiteor"!), sottovalutando invece l'importanza del ringraziamento, della lode, della gioia grata per la bellezza dell'esistente. Lo ricordava anche S.Paolo (Col. 3,15): " E siate riconoscenti!"
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