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La filosofia occidentale, «autoreferenziale e gerarchizzante», ha per duemilacinquecento anni trascurato di interessarsi ai processi psichici e all’agire sia degli animali sia degli esseri umani ritenuti intellettualmente o moralmente più deboli, non dominanti e non produttivi, focalizzandosi soprattutto sui comportamenti razionali, maturi, spontanei e liberi da influenze esterne. L’imitazione, fondamentale nell’apprendimento e in qualsiasi processo cognitivo ma ritenuta attività gregaria, “scimmiottante”, è stata quindi presa in considerazione solo in un periodo recente, a partire dalla scoperta dei neuroni a specchio: mentre in precedenza essa veniva studiata esclusivamente nei suoi livelli elementari – fisiologici e neurologici – relativi al periodo neonatale e della prima infanzia. Oggi la ricerca si occupa dei comportamenti imitativi anche nei suo aspetti sociali, con le ovvie implicanze antropologiche e addirittura economiche. Gianfranco Mormino propone in questo volume una sua originale ipotesi, postulante «l’esistenza di un unico meccanismo mimetico… passibile di essere applicato tanto agli uomini quanto agli animali». Contestando la presenza di una capacità innata di imitare gli altri, Mormino si interroga sulle cause che hanno determinato il successo della funzione della mimesi a livello evoluzionistico (perché e come un essere vivente imita, seguendo quali modelli e per raggiungere quali scopi?). Convinto che ogni singolo animale – umano e non – imiti per meglio adattarsi all’ambiente, stabilizzando «atti motori trovati accidentalmente e rivelatisi favorevoli», e li replichi “autoimitandosi”, con l’obbiettivo di soddisfare i suoi bisogni e di procurarsi piacere. Esplorando l’ambiente circostante per meglio adattarvisi, l’essere vivente apprende in maniera fortuita i movimenti che favoriscono il suo sviluppo, passando poi dall’autoimitazione più elementare e fisiologica ad abilità più raffinate, acquisite nell’interazione con gli altri individui.
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