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Il sociologo francese Jean Baudrillard si chiede qui con indubbia verve provocatoria se per caso la realtà - e l'umanità con essa - non sia già scomparsa, dissolta, volutamente autoeliminandosi dalla creazione, come in un enorme buco nero. Baudrillard scrisse queste pungenti e amare considerazioni nel 2007, pochi mesi prima di morire, probabilmente riflettendo sulla sua prossima fine e sul destino di incenerimento che attende ogni essere e attività umana. Avendo impresso un'accelerazione aberrante a un'evoluzione che non ha più niente di naturale, e avendo accarezzato presuntuosamente il progetto prometeico della gestione dell'universo, l'umanità si è condannata alla sparizione della sua stessa specie, in un inarrestabile processo di autodistruzione. La realtà si trasforma in virtualità, la coscienza individuale si polverizza, il soggetto si disperde, i valori morali si modificano, i comportamenti si uniformano, le culture si amalgamano e risultano indifferenziate. Stiamo vivendo una rivoluzione antropologica a livello planetario, in cui la rappresentazione del mondo sembra arrivata al suo compimento. Il reale, infatti, è stato inghiottito dalla sua riproduzione tecnica, duplicato sinteticamente in un miraggio artificiale. La riflessione di Baudrillard propone un'azzeccatissima metafora con la trasformazione subita negli ultimi decenni dall'arte fotografica che, diventando digitale, si è "liberata in un colpo solo del negativo e del mondo reale". Quando il software prevale sullo sguardo, quando spariscono il differito e il distante, e l'immagine viene riprogrammata tecnicamente, ecco che allora la stessa realtà viene riciclata, e ogni rappresentazione risulta adulterata, falsa, illusoria, seriale. Se scompare il reale, se l'intelligenza diventa artificiale, e se la singolarità è assorbita e annullata nell'universale, a un filosofo apocalittico come Baudrillard non resta che chiedersi: "Perché non è già tutto scomparso?"
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