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Anno edizione: 2016
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Emanuele Felice, con chiara e lucida prosa analizza e confuta la lunga serie di motivazioni che nel corso degli anni sono state addotte per spiegare il divario fra Nord e Sud Italia. Il saggio però non si limita a confutare, ma presenta la sua interpretazione e lo fa in modo ben argomentato e strutturato: l’arretratezza del sud nascerebbe fra la seconda metà del settecento e l’Unità, quando nel resto del mondo e nel nord prendono piede le idee illuministe e modernizzatrici, - che condurranno poi alla più solida industrializzazione-, nel sud queste restano incagliate nel sistema oppressivo e reazionario delle istituzioni locali, poco inclini ad accoglierle, espressione di un sistema baronale e senza alcuna vera borghesia. Le argomentazioni di Felice chiamano in causa il concetto di “istituzioni estrattive” dei Nobel Acemoglu&Robinson e permette di arricchire teorie già consolidate come quella del familismo amorale di Banfield e delle tradizioni civili di Putnam, cogliendone i pregi e levigandole i difetti. Le istituzioni estrattive del sud si sono concentrate nella tutela dei loro diritti e nella prosecuzione dei loro privilegi, non accogliendo gli impulsi riformatori come lo sviluppo dell’istruzione e dell’industria. I passi avanti compiuti verso la convergenza con il nord sarebbero frutto dell’imposizione delle istituzioni statali che finché hanno potuto sono riuscite ad intervenire, con sprechi e sperperi, ma comunque raggiungendo risultati. Quando si è trattato, per mutamento dell’assetto politico e istituzionale, di far sì che fossero le istituzioni locali a guidare il processo di modernizzazione , questo si è rivelato totalmente infruttuoso. Il saggio di Felice ha il pregio di confutare molte teorie che stanno andando di moda in certi ambienti meridionalisti, ridando giustizia alla realtà storica e chiarendo forse una volta per tutte i mali del sud.
Leggere il libro di Emanuele Felice mi fa tirare un sospiro di sollievo. Da qualche tempo mi chiedevo, dove fossero finiti gli storici, in un momento in cui la storia è stata ridotta a variante per libro da classifica e scritturata per recitare la parte nella compiaciuta pantomima del talk-show bipartisan. È bene ricordare che la storia non è esito di una verità rivelata, ma il frutto di una dura ricerca condotta con rigorosa metodologia sulle fonti (siano esse documentarie, archeologico-materiali e/o orali) e non frutto della doxa e del sentimento. Emanuele Felice, docente di storia economica ci dimostra in questo bel libro, come si faccia un buon libro di storia, soprattutto in un momento in cui titoli suggestivi e improbabili, sedicenti narratori e «tesi pseudorevisioniste (il vero revisionismo è insito in ogni ricerca storica) che finiscono per capovolgere la realtà», pretendono di raccontarci la “verità” sul sud Italia e sull’unità d’Italia. Il libro di Felice analizza, a partire da fonti e dati economici certi – non «inattaccabili (nessuna stima storica lo è per definizione)», ma tutti inseriti in note e citati (prova della serietà con cui è stata condotta la ricerca, non solo perché consente al lettore di verificare i dati, ma anche di constatare il lavoro che sta dietro la realizzazione di una ricerca storica) -, il motivo per cui il Sud è rimasto indietro. È bene dire che questo non è un libro pro unità d’Italia o contro il Regno delle Due Sicilie. La storia non accerta chi ha ragione o chi ha torto (non è pertanto pro o contro qualcuno o qualcosa), ma cerca di comprendere e spiegare le ragioni economiche, politiche e sociali, al fine di aiutarci a essere migliori interpreti del presente. Il libro si divide in tre capitoli e procede sulle analisi della situazione del Sud Italia a partire dalla prima metà dell’Ottocento, ossia prima dell’unità d’Italia, fino a oggi.
Testo molto interessante, che mi ha fatto parecchio riflettere, da uomo del sud quale sono. Ho apprezzato molto le ultime tre recensioni e le condivido in toto. Penso che le ragioni della nostra arretratezza economica e di sviluppo industriale siano da ricercare endemicamente nella nostra storia e nello Spirito, Genius Loci delle nostre terre antiche. Io non sono affatto sicuro che auspicherei un tale sviluppo industriale (modello nordico) per la mia Sicilia, noi dovremmo vivere solo di agricoltura e turismo, certamente all'avanguardia e ricco d'innovazioni concettuali e di sostanza, non arcaiche e morenti come in questi tempi, grazie anche a leggi capitaliste e assassine dell'unione europea e del globalismo economico (non sono sovranista) che uccidono la nostra agricoltura. Noi amiamo la lentezza, il ritmo lento dell'esistenza, non saremo mai frenetici, per questioni squisitamente culturali dovute a tutte le dominazioni che abbiamo subito, dagli arabi sino ai normanni, noi non inseguiamo il profitto a tutti i costi, non siamo in generale, imprenditori nell'anima, questo ci diversifica dalla cultura dei nostri fratelli del nord Italia. Siamo semplicemente diversi, nel bene e nel male, dal calore umano dei nostri rapporti sociali sino alle più orrende zone oscure della nostra essenza, in ogni modo la mia terra è terra antica di malie e incantesimi vecchi come il mondo, energie telluriche particolarissime e potenti, respiro di dei dimenticati, mare e fuoco di vulcani, templi, ipogei, litanie e canti che ti straziano il cuore.
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