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Peregrin d'amore. Sotto il cielo degli scrittori d'Italia
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Peregrin d'amore. Sotto il cielo degli scrittori d'Italia - Eraldo Affinati - copertina
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Peregrin d'amore. Sotto il cielo degli scrittori d'Italia

Descrizione


Cosa significa essere italiani? Eraldo Affinati lo chiede a Dante e Petrarca, Boccaccio e Leopardi, Campana e Fenoglio; ma, partito da Castel del Monte, non si limita a interrogare le loro pagine. Pellegrino nei luoghi della nostra letteratura, trasformati e resi quasi irriconoscibili dalla modernità, gli accadono le avventure più incredibili: spiega San Francesco a una giovane prostituta nigeriana, Marco Polo agli adolescenti afghani della Città dei Ragazzi, crede di riconoscere Laura fra i ciclisti che scalano il Monte Ventoso e uno dei giganti di Giambattista Vico nei bassi napoletani. Eraldo Affinati diventa Renzo in fuga nei boschi lombardi. In Sicilia scopre che Ranocchio, il famoso personaggio di Giovanni Verga, si chiama Jonut. Nelle contrade romagnole ripercorre il cammino della cavallina storna. Insegue Gozzano fino in India. Ritrova il fantasma di Cesare Pavese nel deserto di Yuma e quello di Bassani in Israele. Sosta pensieroso davanti alla casa di Primo Levi. Sprofonda nella trincea che fu di Ungaretti. Va in Albania sulle tracce di Mario Rigoni Stern. Incontra per strada Accattone di Pasolini. Finché, raggiunta la tomba di Mazzini a Genova e quella di Garibaldi a Caprera, lascia intendere che senza i nostri grandi autori, troppe volte dimenticati, ma altrettanto spesso ancora ben vivi, dichiararsi italiani non avrebbe senso.
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Dettagli

2010
28 settembre 2010
412 p., Rilegato
9788804595397

Voce della critica

Da sempre la scrittura di Eraldo Affinati si nutre, cerca ispirazione e conferme nel viaggiare. E ogni suo viaggio trova impulso cinetico nella lettura. Viaggiando, i libri letti tornano a respirare e restituiscono senso alla realtà. In questo nuovo libro, Affinati segue le tracce di quaranta scrittori italiani, da san Francesco a Pasolini, nei luoghi che li hanno visti nascere o che stanno sullo sfondo delle pagine dei loro libri più celebri. Ogni itinerario è preceduto da una pagina di avvicinamento allo scrittore prescelto, un breve preludiare di accordi che apre le porte al nuovo percorso. Non ci si muove soltanto lungo l'Italia: lo spirito di Petrarca è inseguito su per le curve del Monte Ventoso o nell'idillio fluviale di Valchiusa; quello di Foscolo tra le croci di un cimitero londinese; Pavese e il suo sogno americano sono quasi un miraggio nel deserto di Yuma; Vittorio Alfieri è rincorso nella notte di quell'amata Stoccolma che conobbe ventenne; Gozzano è raggiunto in uno spazio di sogno tra Agliè e Varanasi, e "il cielo indiano ricorda l'ovatta nella bomboniera spolverata tutti i giorni dalla signorina Felicita". Ma spesso, ovviamente, questi viaggi di conoscenza avvengono in Italia, nei luoghi che per primi assoceremmo agli autori: Pascoli a San Mauro di Romagna; Belli e Gadda a Roma; Tozzi a Siena; Bassani a Ferrara; D'Annunzio tra Pescara e Fiume…
Ogni capitolo aspira a far sì che la letteratura del passato continui ad aver significato, a parlare ai contemporanei. La nostra letteratura ha contribuito a formare il sentimento italiano, e questo nonostante la posizione minoritaria che sembra assumere ogni giorno di più; ma se si vuole che la letteratura sia ancora "una luce davanti a noi" e non "un vaniloquio senza riscontro", non bisogna mai smettere di farla reagire con la realtà, facendo dialogare le parole di ieri con le parole e le esperienze di oggi.
Fin dalle prime pagine, Affinati manifesta il desiderio di "indagare lo scarto fra l'arte e la vita" e, animato dalla stessa follia visionaria di un novello Don Chisciotte, parte (in moto, in auto, in bici, a piedi) alla ricerca del "punto esatto in cui ciò che si vive incontra ciò che si scrive". Il suo peregrinare subisce un doppio movimento: più sembra avvicinarsi alla perfetta epifania che pulsa inestinguibile nei vari luoghi, più quella piena corrispondenza tra pagine scritte e realtà svanisce, si dilegua come un miraggio. Una sconfitta che l'autore sa inevitabile, un po' perché quei luoghi sono a volte snaturati o irriconoscibili, e un po' perché sono in pochi ormai a cogliere cosa rappresentino. Spesso, le grandi pagine della nostra tradizione trovano ascolto, dialogo (a volte, persino si incarnano) in vagabondi, folli, disabili, migranti: solo gli umili, gli emarginati sono naturalmente all'altezza dei sentimenti, delle emozioni, della poesia della realtà che quelle pagine custodiscono (e in questo il libro di Affinati è intimamente pasoliniano).
Corazzato dalle molte letture, come il suo antenato hidalgo, il viandante visita luoghi reali attraverso i fantasmi che popolano la nostra letteratura (e se Clorinda vive ancora a Gerusalemme, l'eventuale Dulcinea sarebbe una prostituta nigeriana). Gli stratagemmi impiegati per riannodare l'arte alla vita sono tanti, talvolta empirici: il peregrino striscia nelle stesse trincee di Ungaretti; ripercorre la strada della Cavalla storna; a Stilo, nella Calabria selvatica, fra ulivi e dirupi sente rinascere la forza dei versi di Campanella; "Non si capisce Tozzi se non si viene qui, fra torri, terrazzini, muretti e campagne all'orizzonte come trofei di cartapesta"; "Questo era il quartiere di Primo Levi (…) Ora che lo vedi, ti sembra di comprendere meglio la logica dello scrittore". Allo stesso tempo, egli sa bene che il giardino dei Finzi-Contini è inventato, che Manzoni la capanna di Renzo l'ha solo immaginata e che in quel bar di borgata Accattone lo sta vedendo soltanto lui. Tutti questi viaggi nei luoghi della letteratura italiana "altro non sono che sortilegi, allucinazioni eidetiche", "febbri, visioni, errori e atti di buona volontà". Glielo dice anche il padre (portavoce del Belli) dall'aldilà: "Stai a fa er matto, eh? (…) Te piace partì da li posti veri e ricostruì così er senso de tutti i libbri. So' cazzi!". Il genius loci è una scommessa di senso: "Il luogo in sé non ti direbbe niente se non ce lo avessi già dentro".
Nella sua furia conoscitiva, il viaggiatore è un parente stretto del Vecchione di Svevo, che secondo Giacomo Debenedetti si dibatteva nel "tempo misto" della simultaneità, in "quel sovrapporsi, come su una lastra più volte impressionata, di sopravvivenze del passato e di presenze attuali". Il "tu" a lui rivolto, con il procedere della lettura, si apre fraterno fino ad accogliere il lettore; il viaggiatore Eraldo Affinati diventa un personaggio di finzione tra gli altri, sprofondato nella propria ossessione per la letteratura, e l'intero libro si trasforma in un sogno a occhi aperti, un'opera di tutti, che tutti gli scrittori che l'hanno preceduta idealmente comprende. Un talismano per ritrovare quella comunicazione immediata con la felicità delle prime, indimenticabili, letture.
Vincenzo Quagliotti  

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Conosci l'autore

Eraldo Affinati

1956, Roma

Eraldo Affinati vive nella capitale e insegna alle scuole superiori. È tra i più importanti narratori che si sono rivelati negli anni Novanta. Ha esordito con un saggio nel 1992, Veglia d'armi. L'uomo di Tolstoj. La sua prima opera di narrativa è del 1993, Soldati del 1956. Ha un grande successo di critica soprattutto con Bandiera bianca (1995) e Campo di sangue (1997), entrambi editi da Mondadori. Nel 1998 ha pubblicato la raccolta di racconti Uomini pericolosi e nel 2001 il romanzo II nemico negli occhi. L'anno successivo, sempre per Mondadori, ha dato alle stampe un ritratto biografico del teologo Dietrich Bonhoeffer, Il teologo contro Hitler. I suoi ultimi romanzi sono Secoli di gioventù (Mondadori, 2004) e La città dei ragazzi (Mondadori, 2008). Nel...

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