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Bel libro che nutre l’approfondimento, portandoti in un mondo lontano al cospetto di giganti, spietati e corrotti, per riscoprirne uno più vicino a noi che rimane corrotto ma popolato da nani. Una lettura che arricchisce, con il cullare del manuale di storia, quasi sussurrato a voce e mai didascalico, sdraiati su un triclinio, e la biografia che si fa romanzo che rifrange, come scene di un film, la radiografia di un uomo e del suo tempo. Sertorio non ‘outsider’ ma ‘insider’, critica dall’interno del sistema. Non fugge tanto da Roma ma dai suoi rappresentanti. Li combatte con la parola, la spada e l’astuzia. Ripara in Spagna quando si accorge che il male si annida sia negli aristocratici sia nei popolari mariani, di cui fa parte, nello spacciare per giustizia sociale l’odio di parte e per rivendicazione l’insano furore. Roma non cambia, neanche dopo i Gracchi, Mario e Silla. E non perdona chi le volta le spalle. Maestro di anagrammi premonitori, fine oratore e guerriero, nutrito di lettere e culture, monocolo per incidente in guerra, veggente per necessità, troppi ‘amici’, frugale e carismatico come Annibale ma non ha il suo genio militare, plasma una Roma parallela amalgamando uomini e culture diverse, nei valori dell’Aquila, con tanto di senato e scuole romane. Nel suo progetto di rivolgimento ha accanto ispanici, lusitani, mauritani, celti, pirati cilici, fieri e coraggiosi, di cui sviluppa il meglio, disciplina e considerazione, anche se privi di Romanitas, e da cui impara: vedono in lui la fine della sopraffazione. Tra i tanti giganti si confronta anche con il giovane Giulio Cesare: sarà lui a realizzare il sogno, ancora prometeico, sertoriano di un Occidente unito all’Oriente, dove l’arte uccide le armi e il saccheggio sistematico delle sue viscere. Instagram: claudio_musso
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