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Chiaramente un diario di una persona gravemente depressa e narcisista, non un opera letteraria. Probabilmente scritto su prescrizione di uno psicoterapeuta come metodo catartico. I pensieri per la maggior parte mi hanno fatto arrabbiare, provocatori, misantropi ma senza il filtro della letteratura. Non un pessimismo realista come in altri autori tormentati, ma bisogno di odiare, in modo molto banale. Scrive ad esempio: «...nacque l'idea d'una furia che si volgesse subito contro il mondo intero: verso una donna estranea che volevo accoltellare...» Continui giudizi svalutanti su tutti gli umani che capitano a tiro, soprattutto le donne stupide, puttane, ecc.. Non ne esce un bel ritratto umano dell'autore e non è di alcun aiuto al lettore, non aggiunge niente alla comprensione della nostra specie.
Sconnesso e brullo come una voce che corre su distese forse senza arrivo, libero e malato nelle sue nebulose interiori, breve e smarrente in ogni rigo spedito a se stesso, un diario qui è nel suo nudo integrale, immaturo e perfetto nelle sue righe inquiete. Un senso di deviata salvezza si affaccia presto quando leggiamo:"Lei è frustrato!Come potrei essere un frustrato se ho un paio di libri sul comodino di cui già mi rallegro?". Dunque il tema dei temi, l'asse attorno a cui ruota quell'atomo selvaggio che è insieme centro e buio tutto attorno, rara selvaggina da addentare e al tempo liquore malsano, salvezza e prigione: la solitudine. E' indubbiamente questa la partita, quella fra l'uomo e le parole nel fuori delle sillabe, ma ancor più quella fra l'uomo e il suo flusso primario, la sua coscienza, i suoi natali di dentro. Un battito irregolare che puntella le pagine, se nello stesso giorno, un trenta di aprile, l'autore scrive:"Uscendo dal cinema chiedere alla maschera di cosa trattasse il film in realtà". E, subito, dopo, nelle tre righe che seguono:"Il fatto di indossare uno strofinaccio intorno ai fianchi si sopporta forse meglio al pensiero che anche Cary Grant è apparso in un film conciato così". Spirito ludico e una tristezza di fondo larga e silente insieme, le sgangherate coordinate del sentire ogni volta riviste o incontrate come nuove, anche contrarie alle precedenti, a smentire quei verbi di stupida certezza che tentano di ingabbiare le ali la vita. Handke si getta nella propria carcassa, nelle stranezze e negli infantilismi che dettano legge, in rigide osservazioni forse veritiere:"L'idea che le persone che non leggono non sappiano neanche ciò che fanno, che esse non siano nemmeno raggiungibili". Come non condividere questo timore, come non dargli ragione? Ecco in sintesi questi morsi su carta, eminenza e bassifondi del circondario umano, escremento di cane e ricamo di cielo. "E provo paura di quella serietà che porta alla barzelletta". Bellissimo...
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