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Anno edizione: 2013
Anno edizione: 2009
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"Piccoli animali" è fitta simbologia; è situazioni drammatiche ed amare raccontate in una maniera "ovattata" che le amplifica; è immagini che si figurano prepotentemente nella mente del lettore. Un romanzo dove i racconti si richiamo incessantemente l'uno con l'altro: l'amara condizione di amante di Andrea; la storia di Laura e Carlo,dentro i quali il dolore grida continuamente ma che da fuori sembrano una coppia tranquilla; Annalisa e Fausto,per i quali adottare un bambino è un desiderio che richiede una procedura complicata e sfiancante; David e Natalie,che dopo tanto attendere riescono ad avere il loro bambino,pur sapendo che non sarà mai "loro" fino in fondo; e poi la parte storica,quella dedicata a Lenin e a Stalin,che si intreccia ad un certo punto anche con la vicenda di David e Natalie. Un romanzo bellissimo,da leggere. Pieno di drammaticità ed amarezza,ma che ha attaccata sul fondo la speranza,ricordando in questo un po' il mito di Pandora.
Recensioni
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"La nostra età è spossata, e la terra, sfinita dal partorire, a stento genera piccoli animali": vengono addirittura da Lucrezio i piccoli animali che danno il titolo al primo romanzo di Maurizio Torchio (Tecnologie affettive, Sironi, 2004, era una raccolta di racconti). Del romanzo a Piccoli animali manca ancora il respiro, lo sviluppo, eppure resta un esordio tra i più interessanti per lingua e tensione intellettuale, pieno di idee, potentemente allegorico, in cui l'angoscia di quella terra desolata, veramente spossata, sterile, in qualche modo postuma a se stessa, che è il nostro presente, si apre a improvvise dolcezze e malinconie.
Laura e Carlo sono una giovane coppia torinese in procinto di lasciarsi: lei, trentenne vagamente nevrotica, ha una relazione con Alessandro, lui sembra cercare un anestetico esilio o forse, metaromanzescamente, una più autentica comprensione delle cose in un complesso wargame, un gioco di simulazione fatto di soldatini che, come alpini di un romanzo di Revelli o Rigoni Stern, affondano e muoiono nella neve: ma dove là c'era la neve vera della storia, dell'esperienza traumatica della guerra, qui è solo la neve sintetica di un diorama manipolato da un soggetto anafettivo, bloccato, dolente. C'è poi Alessandro, l'"altro", che conduce una vita al limite del monacale, consumando solitarie cene tutte uguali un hamburger surgelato, l'estrema unzione del single disperato e abbandonandosi a rancorosi scatti di violenza contro l'uomo delle pulizie, per altro in sua assenza dato che i due non si incrociano mai.
Detta così sembra il classico triangolo da romanzo familiare-borghese. Ma è un triangolo tutto mentale, astratto (i personaggi sono sempre soli, la comunicazione incerta, fragile, spesso distorta viene affidata a telefonini, sms, computer), come a dire che non c'è più alcuna famiglia (ma neanche alcuna borghesia, se è per questo) a cui dedicare romanzi. Se una famiglia esiste, esiste solo nei simulacri mediali, nella sua versione immaginaria, un irraggiungibile oggetto del desiderio. Come per le altre due coppie del libro, una italiana e l'altra americana, che vivono le difficoltà legate all'adozione: la vicenda americana è ambientata in un prossimo futuro (o è già il nostro presente?), in cui il bambino da adottare viene scelto compilando un form su internet, spuntando le caratteristiche desiderate da un menù a tendina.
Il figlio, la famiglia, nel romanzo di Torchio sono oggetti del desiderio che ai personaggi sono preclusi: scatta allora l'invidia, il risentimento verso l'altro, che invece sembra godere (apparentemente in maniera oscena, eccessiva) di questo oggetto. Invidia per le altre madri, invidia per i mariti e i compagni regolari, invidia per l'uomo delle pulizie immigrato, per la sua famiglia numerosa e la sua fertilità, invidia per i prolifici paesi poveri che vengono quasi depredati con le adozioni. Una tensione che si scarica sui corpi: non c'è personaggio ma verrebbe da dire che non c'è pagina che non sconti qualche problema fisico, qualche sintomo di nevrosi più profonde: dalla sterilità, al mangiarsi le unghie, alle allergie. Corpi tesi, nervosi, lacerati come il corpo sociale in cui sono immersi.
Francesco Guglieri
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