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Questo romanzo venne spesso citato dalla mia insegnante di lettere ai tempi del ginnasio ed oggi, a distanza di oltre trent’anni, ho deciso finalmente di leggerlo. Non commenterò il fervente nazionalismo antiasburgico di cui le sue pagine sono pregne e nemmeno il fatto che in esso appaiono continuamente dialoghi in dialetto (è ambientato in Valsolda), così come non commenterò altri elementi. Piuttosto, spenderò qualche parola per ciò che maggiormente mi ha colpito: la caratterizzazione del personaggio di Luisa che, come afferma Giulio Cattaneo, “è veramente la protagonista del romanzo e a lei è più vicino Fogazzaro”. Una donna "atea" che, per tale motivo, si trova a vivere in continuo attrito col marito “credente”. Questa caratterizzazione non è casuale: penso che la coppia rappresenti bene il travaglio interno dell’autore. Infatti, il romanzo venne pubblicato nel 1895, ovvero dopo il suo “ritorno” alla fede cattolica, la pubblicazione del “Malombra” (carico di occultismo e spiritismo) e l’incontro con mons. Bonomelli, personaggio “vicino alle nuove correnti del modernismo”. Chi è il “modernista”? Fondamentalmente, si tratta di un individuo che piega la religione alla sua razionalità. Questi, pur essendo uno scettico, non vuole rinunciare al conforto della religione e cerca di creare un compromesso tra razionalità e fede, così da non rinunciare alla seconda pur negandone i presupposti. Il “modernista” ha una religione di comodo che si inchina a scienza e tecnica, mettendo gli umani desideri dinnanzi ai doveri verso Dio. Mutuando Bauman, la sua è una religione “liquida” che si adatta al contenitore della storia. Ecco, Luisa incarna bene l’ateismo, più o meno consapevole, del “modernista”. Emblematico in tale senso il suo sfogo: “Non hai capito che non ci credo al suo Paradiso? Il mio Paradiso è qui!” (parte II cap.10). Non è un capolavoro, ma certamente un buon romanzo.
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