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«La nobiltà diversa del barone era la poesia, in lui doppiamente magica. E fastosa sognante maliosa, di preziosa favola, di canto mai sentito.»
«Io non so che voglia sia questa, ogni volta che torno in Sicilia, di volerla girare e girare, di percorrere ogni lato.» Così Consolo condensa la sua profonda sicilianità, che si manifesta in uno stile narrativo dalle sorprendenti soluzioni: una forma mista di resoconto storico, lettera, documento, teatrino popolare. Le pietre di Pantalica racconta un'antica, alta civiltà a cui si è sostituito un qualcosa d'indefinibile, non certo di segno positivo, e scandisce la cronistoria delle ultime vicende del mondo contadino in un paese simbolo del latifondo. Il ricordo dei magici luoghi perduti e di volta in volta "riscoperti" vibra nella prosa dello scrittore come la gagliarda solarità della sua terra.
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La Sicilia, terra dai profondi contrasti, costituisce indubbiamente un’alcova, una culla, un rifugio sicuro a cui tornare dopo che per svariati motivi - ma quasi esclusivamente legati al lavoro - si è dovuta lasciare. Una chiara testimonianza di ciò si ha con uno dei suoi maggiori geni letterari, quel Giuseppe Bonaviri che, diventato medico cardiologo, esercitò la professione nel Lazio, ma sempre con il pensiero rivolto alla natia Mineo. Non è diverso il caso di Vincenzo Consolo, trapiantato il Lombardia, ma comunque sempre legato alla sua terra, con la presenza costante della tristezza per averla lasciata. Credo che più delle mie parole valgano le sue, tratte da Le pietre di Pantàlica (Io non so che voglia sia questa, ogni volta che torno in Sicilia, di volerla girare e girare, di percorrere ogni lato, ogni capo della costa, inoltrarmi all’interno, sostare in città e paesi, in villaggi e luoghi sperduti, rivedere vecchie persone, conoscerne nuove. Una voglia, una smania che non mi lascia star fermo in un posto. Non so. Ma sospetto sia questo una sorta di addio, un volerla vedere e toccare prima che uno dei due sparisca.). Ed è forse questa condizione esistenziale che spinge a scrivere in un certo modo, a rivisitare in narrativa i cari luoghi che si sono lasciati. Le pietre di Pantàlica, questa raccolta di 14 racconti, ben rappresenta quella che è l’immagine del suo autore. Il lettore viene così a conoscere una Sicilia che tanto può ricordare certe novelle di Verga, con una ricchezza di personaggi dai nomi e soprattutto dai soprannomi che entrano indelebilmente nel nostro patrimonio di memoria come se fossimo noi ad averli conosciuti direttamente, e invece ci sono stati proposti da questo narratore che con uno stile altamente letterario li descrive come escono direttamente dal suo cuore, gente che spesso non c’è più, ma che sembra perennemente vivente, tanta è la vitalità che Consolo ha saputo imprimere alle sue creature. Da leggere.
Raccolta di racconti di un fuoriclasse della letteratura italiana di secondo '900. Anche se il registro linguistico solo a tratti raggiunge le vette poetiche e musicali di Retablo, Lunaria o Il sorriso dell'ignoto marinaio, il contenuto è sempre di grande qualità. Dal racconto magico umoristico " Filosofiana", storia arcana e grottesca di un ritrovamento di un'antica tomba in un terreno abbandonato, sino ai ricordi personali (bellissimi) su Sciascia, e i poeti siciliani Buttitta, Uccello e Piccolo. "Sul tumulo d'ortiche e pomi di Sodoma, s'erge la croce con un solo braccio, la forca da cui pende il lercio canovaccio. Chiedi pietà ai corvi, perdono ai cirnechi vagabondi, ascolta, non tremare, l'ululato, Ma tu li sai, sopravvivono soltanto la volpe e l'avvoltoio".
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