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A differenza di Arlecchino o Pulcinella, o anche di Fantozzi e Cipputi, quella di Pinocchio sembra essere una vera e propria maschera nazionale italiana. Tale intuizione, formulata in particolare da Carlo Cassola, Carmelo Bene e Alberto Asor Rosa (il quale parlò icasticamente di un "burattino-popolo-Italia") viene sviluppata da Incisa di Camerana, esperto, tra le varie cose, di storia degli italiani, in riferimento anche al resto della produzione di Collodi. Uomo dall'intelletto pungente, combattivo, misogino, quest'ultimo era in sostanza un conservatore. Aveva lottato a Firenze nei moti risorgimentali, per poi scegliere le truppe sabaude e non quelle garibaldine al tempo della guerra d'indipendenza, e accostarsi infine alla monarchia, pur senza astenersi successivamente dal criticare la "piemontizzazione" del Sud, la mediocrità di alcuni organismi nel nuovo stato, la decadenza dell'epoca umbertina. Lo stesso Pinocchio, chiara immagine della piccola borghesia, non ha nulla a che fare con Gavroche, né con il picaro Lazarillo de Tormes; per di più, vide la luce a cominciare dal 1881, dunque in una fase storica non eroica o avventurosa. Volendo vedervi una maschera adeguata non solo all'Italia postunitaria, ma all'intera storia nazionale, Incisa cade in alcuni eccessi interpretativi, per esempio nell'asserire che il gesto di Pinocchio quando schiaccia il Grillo Parlante "sa di pura violenza, di fascismo"; e talora, forse, dovrebbe far meglio presente il rischio, sempre vivo allorché si tratteggiano dei "caratteri nazionali", che il "tipo" possa farsi "stereotipo". Sono eccellenti l'apparato iconografico e l'analisi della fortuna di Pinocchio all'estero, negli adattamenti di Walt Disney come in quelli sovietici.
Daniele Rocca
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