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recensioni di Luzzi, G. L'Indice del 2000, n. 07
Non poteva che essere la prestigiosa dedizione critica di Niva Lorenzini a prendersi cura di queste scritture postume di Antonio Porta. I due poemetti sono passati in questi anni in circuiti occasionali, contribuendo a tener alto il dignitosissimo mito anche tragico del poeta milanese, che l'accortezza di chi ne ha amorosamente garantita l'eredità letteraria (Lorenzini compresa) ha impedito di vedere congiunto ad aspetti di orfanità e postumità un po' teatrali e non di rado strumentali, come è accaduto, per fare degli esempi, con Pasolini e Bellezza.
Il mito di Porta è di ben altra natura, soprattutto perché non è mai stato messo a disposizione di speculazioni editoriali. Direi che è un mito fisiologico, o per meglio dire un percorso della fama post mortem legato alla naturale verifica del tempo, mito non indotto, non enfatizzato, ma risonanza di anche potenti effetti postumi verificata nella connessione perdurante di quel lavoro con direzioni precise dell'oggi in movimento. La poesia di Porta non ha finito di produrre indicazioni e come tale non rappresenta un modello congelato e storicizzato, quanto piuttosto un assieme di fenomeni congregati che, anche sul piano delle soluzioni tecnico-stilistiche adottate, non ha esaurito la sua possibilità di prestarsi a essere fonte di consultazione per i poeti al lavoro oggi. Insomma, se mai l'espressione possa essere sottratta al rischio del sentimentalismo, si può letteralmente dire che Antonio Porta è ancora tra noi, se non altro perché determinati nodi della pragmatica testuale manifestati dal suo lavoro sembrano continuare a vantare una forte attualità ogni volta che si tratti di meditare sul volto di una avanguardia non dissipatoria, di una sperimentazione non svagata, di una permanenza etica, di una provocazione di stile sensibile ai mutamenti del gusto sotto la spinta del dato eteronomo.
Il volumetto (un gioiello la copertina diTadini) contiene due brevi sequenze poematiche, la seconda delle quali ultimata poche settimane prima della morte. Già a partire dai titoli si può capire quanto di convenzione sconvolta venga trascinato entro queste due vere e proprie rese dei conti psicoaffettive condotte sui rapporti primari. La organizzazione del fantasma poetico di un rapporto simbiotico-incestuoso con la madre ("penetro in un ventre che non è il tuo / eppure ti ricorda e celebra e nutre") è appunto un modo per "celebrare" la perdita e per attraversare il lutto. Incluso in una tradizione poetica particolarmente popolata, il tema viene affrontato con una spregiudicatezza "innocentemente" cruda e costituisce, si può dire, qualcosa come una suprema prova di verità. Sotto altri aspetti, i due poemetti sono perfettamente inclusi nel secondo tempo della sperimentazio-ne portiana, che va moderando l'ambiguità dei posizionamenti semantici in favore di una nuova e più trasparente relazionalità. Il secondo poemetto è una sorta di resa dei conti con la figura paterna, vista nel suo declino come forma dell'approssimarsi alla pacificazione regressiva (La posizione fetale), ma vissuta anche nella crudeltà di un osservatorio diagnostico di tipo ravvicinato cui la ricchezza di simboli (l'uovo, il feto, lo spazio curvo come microsomo della struttura dell'universo) sottrae il senso estemporaneo di cronaca di una fine. Come osserva la curatrice, "la fine e l'inizio si ricongiungono, come si sovrappongono fino a fondersi il nascere e il morire.
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