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Se «imaginare», nell'italiano delle origini, non indica solo l'attività della mente, ma anche la rappresentazione artistica vera e propria si pensi alla Vergine «imaginata», insieme con altri esempi di umiltà, sullo zoccolo della prima cornice del Purgatorio, ecco che l'immagine, reale o mentale, dell'amata, elemento costitutivo della nostra tradizione poetica, altro non sarà che un ritratto (anche se mero simulacro della mente) da riconoscersi dunque quale tratto fondativo della lirica occidentale. Questo l'assunto alla base del poderoso lavoro di Federica Pich, argomentato in un accuratissimo percorso testuale che intesse la diacronia con la trattazione tematica. L'amore, l'encomio e la riflessione filosofica si intrecciano con le specificità proprie di ciascun autore esaminato, sulla linea che muove «da Petrarca a Marino», come recita il sottotitolo, ma l'autrice non manca di guardare indietro al mondo classico e in avanti, sia pure per cenni, alla filmografia di Demy o alla pittura concettuale di Barcelò, per poi centrarsi su Quattro-Cinquecento. F. Pich, dando seguito a quel minuto commento ai testi che già corredava la sezione antologica del saggio di Lina Bolzoni, Poesia e ritratto nel Rinascimento (Laterza 2008), torna così a studiare le mutue iterazioni tra due codici linguistici differenti ma anche reciprocamente condizionati: quello verbale e quello visivo, colti sulla linea di confine, ossia la lirica dedicata al ritratto, un vero e proprio «sottogenere» dotato a sua volta di un codice espressivo ben definito e spesso derivato, nella scelta lessicale e nell'elaborazione retorica, dalla cultura figurativa. Ma l'analisi vuole uscire dall'«equivoco» dell'ekphrasis (la descriptio è effettivamente rara o del tutto assente), per guardare alla genesi di un «canone» della poesia che paradossalmente elude la descrizione mimetica, per riscrivere il 'visibile' iuxta propria principia. L'effetto è quasi l'obliterazione del dato visivo, 'sostituito' da aspetti differenti ed estranei alla pittura, per esempio la voce, l'interiorità, in una competizione continua giocata sui limiti dell'espressione verbale e figurativa. La poesia «davanti al ritratto», al di là dell'inevitabile deriva encomiastica, direttamente proporzionale alla sua fortuna, diviene pertanto luogo topico dell'espressione di ciò che non si può vedere, appropriandosi dei codici espressivi dell'arte e allo stesso tempo tessendo un discorso autoreferenziale e quasi metapoetico sulle capacità rappresentative della letteratura. Veronica Pesce
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