Da anni ormai Massimo Raffaeli, il critico letterario italiano che più di altri mantiene la tempra e il rigore estetico dei suoi maestri (Fortini, Pasolini, Volponi), molti dei quali studiati da esegeta, nonché la maniacale disciplina dello studioso e del lettore militante, guarda il mondo e la sua storia attraverso un'attività sportiva che parrebbe lontanissima dall'agone della letteratura: il calcio. Dico parrebbe, perché, invece, nulla più del calcio è la spugna sensibile degli umori profondi di una società e di un luogo particolare come può essere un'intera città, "la rappresentazione" sacra di cui parlava Pasolini negli anni settanta o "il format planetario" dei nostri tempi, come dimostra questo intensissimo La poetica del catenaccio, che chiude un'ideale trilogia inaugurata con L'angelo più malinconico e proseguita con Sivori, un vizio. L'autore va controcorrente, racconta i miti e i divi del football, ma anche della poesia, con lo sguardo di chi li vede travolti dal pensiero unico, appiattiti dal massaggio mediatico, nel cancellarsi della ripetizione, e vorrebbe vedere emergere, invece, la loro forma classica, la valenza umanistica. È il racconto di un'epoca ma anche di una attività classicamente umana che diventa materia del romanzesco, spiegata da una citazione posta in esergo a uno di questi pezzi non da un filosofo, uno studioso di sociologia, ma da quello che fu un centrocampista allevato a Torino che giocò nella Lazio, Nello Governato: "Il calcio non è la vita o la morte. È di più". In questo viaggio a zig zag, dove riverberano i frammenti di un secolo, l'epica calcistica incontra molte altre figure, come Puskas incarnato nella rivolta d'Ungheria (un piccolo gioiello di scrittura), i nove giocatori neri su undici della nazionale francese che cantano la Marsigliese, "da incorniciare e dedicare all'ineffabile Monsieur Le Pen", Sissoko, calciatore francese originario del Mali che cita Malcom X. Non mancano naturalmente i grandi nomi, come Maschio, Di Stefano, Josè Altafini, Dino Zoff, raccontato a partire dalle sue mani raffigurate in un francobollo, emblema della vittoria italiana ai campionati di Spagna del 1982, o il nobile Giacinto Facchetti, per non dire dell'amatissima Signora; ma l'autore omaggia romanticamente anche personaggi minori, persi nelle nebbie della memoria, sepolti in quelle delle generazioni lontane, come Mario Bicicli, detto Bicicletta, centrocampista che visse il declino della Grande Inter. Così come è sempre presente la letteratura, non solo nella sezione del libro ad essa dedicata, Poeti, dalla celeberrima poesia Goal di Umberto Saba, al Pasolini calciatore, fino a un altro tifoso, Mario Dondero, però del Genoa, qui nelle vesti del celebre reporter che nell'autunno del 1968 va a fotografare il Manchester United e la sua grande stella George Best, che Raffaeli incastona in un breve, quanto fulminante ritratto: "detto il quinto Beatles, un irlandese talentuoso e gracile, già votato all'etilismo e a ogni intemperanza". Angelo Ferracuti
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