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Anno edizione: 2010
Anno edizione: 2011
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Non è poi così raro che nella pubblicistica dedicata a uno specifico fenomeno prenda forma una sorta di sottogenere, costituito da dialoghi o conversazioni. Certo il genere del dialogo, ammesso che si possa usare questa espressione, fa storia di per sé: i nomi degli autori classici che lo hanno elevato a forma letteraria prosastica sono ben noti. Con le dovute proporzioni, ciò vale anche per la mafia. Nel caso della malavita organizzata le pubblicazioni in forma di dialogo si dividono in due filoni principali: da una parte si collocano alcune opere di grande fortuna, incentrate sull'incontro fra studiosi e giornalisti con collaboratori di giustizia di rango; dall'altra i libri-conversazione costituiti dal confronto fra giornalisti e figure istituzionali impegnate nell'attività di contrasto, in primis magistrati. Pur collocandosi in questo coté, il libro in questione evidenzia subito la sua originalità: si tratta infatti di un'intervista, in senso lato di un dialogo (per l'appunto), ma con intento, a un sol tempo, meno eclatante degli esempi sopra ricordati, e più riflessivo e analitico. A parlare di mafia, riconsegnando al lettore la trascrizione di una lunga e articolata conversazione, sono un raffinato giornalista e scrittore, Gaetano Savatteri, e uno studioso di calibro, Salvatore Lupo.
Pur nelle sue contenute dimensioni, il volume non nasconde una certa ambizione. Nella prefazione, Savatteri confessa che l'obiettivo degli autori è "delineare un quadro compiuto del fenomeno". Ma vi è qualcosa di più: in fondo il baricentro del libro non è articolato soltanto sull'analisi interna alla mafia, ma è rivolto anche verso l'esterno. Si prova cioè a leggere "in filigrana" alcune pagine oscure della storia della repubblica italiana, tentando di "trovare un codice" utile a decrittarle.
L'impianto del volume segue un andamento cronologico, ricostruendo alcune essenziali vicende della storia della mafia, a partire da quando il termine entra a far parte del patrimonio culturale, linguistico e politico del paese, ovvero poco dopo l'unità d'Italia. In particolare, si sofferma sulla figura del prefetto Mori, centrale nella lotta alla mafia durante il fascismo; sull'arrivo degli alleati in Sicilia, negli anni che concludono il secondo conflitto mondiale. Per poi venire a vicende più vicine ai giorni nostri: gli anni ruggenti del sacco di Palermo; la fase del virulento attacco al cuore dello stato di fine anni settanta-inizio anni ottanta, che ha lasciato sul campo vittime illustri; il "professionismo" dell'antimafia; l'esemplare vicenda di alcuni collaboratori di giustizia, Tommaso Buscetta in testa; i processi per mafia ad alcuni esponenti politici di livello nazionale, fra tutti Giulio Andreotti, che diviene un punto di partenza per una riflessione sull'istituto del concorso esterno e sulla definizione penale delle "cointeressenze politiche e affaristiche attorno alla mafia". Il tutto racchiuso, a cerniera, in un capitolo iniziale e in uno conclusivo di tipo più interpretativo, destinati a delineare sinteticamente le caratteristiche del fenomeno e alcune possibili linee di contrasto.
Se il riferimento al tempo costituisce la trama del libro, l'ordito è definito da alcuni orientamenti analitici di fondo. Nelle pacate risposte alle domande di Savatteri, Lupo delinea de facto i tratti della sua storiografia del fenomeno mafioso, basata sull'analisi documentale e la ricerca empirica. Un approccio a cui non è estranea, come motivo originario, la passione civile (qua e là affiora anche qualche confessione), ma che è improntato al rigore analitico e all'atteggiamento scientifico. Di qui si sviluppano alcune considerazioni di non poco conto, sovente contrarie ai luoghi comuni e a facili vulgate. Vediamone alcuni esempi. Troppo spesso si è pensato che la mafia fosse espressione del relativo sottosviluppo delle aree del paese in cui è radicata o, viceversa, che fosse l'unica spiegazione del ritardo economico di questi contesti. Le cose sono in realtà assai più complesse: né l'una posizione né l'altra è vera, dice Lupo. Anzi, la mafia mette continuamente in mostra capacità di adattamento e dinamicità; non è un fenomeno estraneo alla modernità, al più ne costituisce una patologia.
Non è raro sentir parlare di mafia facendo leva su alcune facili metafore: l'"impresa", la "holding", la "società per azione" del crimine. Si tratta di immagini sintetiche che possono aiutare a tenere alta l'attenzione pubblica verso il fenomeno, ma che non aiutano a comprenderlo.
Potremmo continuare con ulteriori riferimenti su cui insistono gli autori: la presunta contrapposizione tra una vecchia mafia, meno sporca di quella attuale, e una nuova, tutta votata ai traffici illeciti e al malaffare; l'idea che alcuni fatti malavitosi chiamino in causa l'esistenza di "un grande regista", di "un supremo burattinaio" e di "trame occulte". Al di là dei temi trattati, Lupo sostiene che intorno alla mafia si coaguli uno scontro fra retoriche e iperboli contrapposte. In sintesi vi è una narrazione riduzionista, che certo non nega l'esistenza del fenomeno, ma che lo tratta come un esempio ordinario di criminalità organizzata, trascurandone la grande capacità di intessere relazioni con la società civile, la politica e l'economia. Vi è poi una retorica "pan-mafiosa", secondo cui tutto è mafia, e questa è la "categoria" sufficiente a leggere una grande molteplicità di fenomeni. Si tratta di due opposti sbagliati, frutto di posizioni recalcitranti di fronte all'analisi dei fatti. In buona sostanza, Lupo si rammarica del livello del dibattito pubblico sulla mafia, poco aiutato a prendere quota da quella pubblicistica composta sulla base di impressioni e suggestioni letterarie, più che di analisi empiricamente fondate.
La riproduzione nel tempo delle mafie è l'asse portante del volume, non è tuttavia del tutto assente un riferimento allo spazio. Al riguardo, si segnala la presenza nel cuore del libro di un capitolo dedicato all'insediamento in America della malavita di "origine" italiana. Un tema che rientra tra quelli diffusamente studiati da Lupo e qui sintetizzato in alcuni aspetti chiave. Forse ci si poteva attendere che venisse affrontata più ampiamente la questione della diffusione mafiosa nel Nord Italia: al di là della recente polemica politica, è infatti un tema su cui in questo periodo si sprecano gli instant books. Le cose che dice Lupo sulla criminalità organizzata americana hanno però un valore più generale, e servono come metodo. In particolare, è rilevante il richiamo all'importanza di considerare le variabili di contesto, più utili a spiegare perché la mafia attecchisce in un determinato territorio di quanto lo siano interpretazioni che fanno leva su stereotipi "etnici". Essendo frequenti le prese di posizione, anche politiche, di chi vede il Nord Italia invaso dal virus mafioso e sopraffatto dalla metastasi di questa o quella organizzazione malavitosa, le parole di Lupo potrebbero sicuramente giovare.
Luca Storti
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