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Lo storico Mario Isnenghi, nella sua prefazione, definisce “La prigionia di guerra in Italia 1915-1919” di Alessandro Tortato un libro pioneristico. Per la prima volta, infatti, si fa luce su una interessantissima pagina della Grande Guerra caduta in completo oblio: il trattamento che l’Italia riservò alle migliaia di prigionieri nemici catturati durante il conflitto. L’autore è un trentacinquenne storico veneziano, laureatosi in storia militare presso la facoltà di scienze politiche di Padova ed a Venezia, a lettere, in storia contemporanea, autore di un altro volume di successo “Ortigara, la verità negata”. Sul triste destino dei prigionieri italiani in mano nemica, affamati dal rifiuto delle classi dirigenti italiane di inviare aiuti alimentari per scoraggiare le diserzioni al fronte, aveva fatto luce il libro di Giovanna Procacci “Soldati e prigionieri italiani nella Grande guerra”. Nulla invece sui “nostri” prigionieri. E parliamo di migliaia di persone. Molto infatti ha trovato Tortato dal lato normativo-statistico. L’Italia adempì con encomiabile sforzo agli oneri derivanti dalle convenzioni internazionali stipulate all’Aia nel 1907, che prevedevano da parte dello stato detentore il rispetto di alcuni diritti fondamentali della persona. La macchina organizzativa, pur partita con comprensibili impacci, consentì infatti di garantire il mantenimento di oltre 400.000 prigionieri provenienti da ogni parte dell’Impero austro-ungarico e dislocarli in campi di prigionia distribuiti nell’intero territorio nazionale. Tortato ha potuto fare affidamento su documenti inediti rinvenuti presso l’Archivio centrale dello stato e l’Ufficio storico militare. Ben più difficile reperire pagine di memorialistica nei territori un tempo appartenuti alla corona imperiale: la dissoluzione finale dell’Austria-Ungheria si tradusse purtroppo in una comprensibile dispersione collettiva della memoria storica dei vinti, ancor più silenzi
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