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Anno edizione: 2005
Anno edizione: 2014
Di Heinrich Böll, premio Nobel per la letteratura nel 1972, scomparso nel 1985, sono usciti postumi alcuni racconti composti nel 1946. Mai, come nella narrativa dell'immediato dopoguerra, Böll è stato pittore di paesaggi, si direbbe leggendo questa raccolta appena pubblicata da Mondadori, che si inscrive nel contesto scottante evocato dal romanzo inedito del 1946,Croce senza amore, anch'esso pubblicato postumo (cfr. "L'Indice", 2004, n. 9). Sono paesaggi di guerra, come quello dei dolci rilievi e delle valli che si stendono fino alle rive del grande fiume, scrutati attraverso il cannocchiale di un generale in attesa della battaglia mentre nelle buche la fanteria, immersa nella terra, impara a distinguere i tanti rumori e a riconoscere, in mezzo alle ondate dell'artiglieria, "la sequenza sparo-ululato-scoppio, scoppio sul fronte nemico". La distruzione è sotto gli occhi di tutti: "Vide gigantesche raffiche di terra innalzarsi come vortici in cui turbinavano lunghi gambi di girasoli; vide le cime degli alberi che si piegavano e sentì lo schianto dei tronchi che scoppiavano in schegge; a volte, nelle pause di quel folle fragore, gli arrivavano all'orecchio le grida terribili dei feriti", che "parevano irreali nel loro biancore, ma invece, ahimé, ben reali, balzavano terrorizzati verso la boscaglia". Ma sono poi, anche e soprattutto, paesaggi metropolitani, scenari spettrali nei quali "la grande città, spaventata dagli attacchi subiti", sta rannicchiata in preda al terrore, strade deserte di periferia in cui, fra mucchi di macerie coperti di cenere e immondizie o in giardini scoloriti dai pochi alberi e dalle panchine mutilate, si può essere all'improvviso trascinati "nella corrente inebriante della realtà".
Fra i personaggi si incontrano soldati, uomini feriti e braccati, perseguitati, corpi consunti dalla guerra e dalla fame; un musicista che vive del ricordo, rinchiuso nella cantina di un edificio scomparso, un malato febbricitante dallo sguardo smarrito o spaventosamente selvaggio. Strane figure femminili sembrano animare l'orizzonte della sofferenza e della guerra: come la donnina in abito bianco, intenta alla distribuzione del pane, sulle cui piccole mani brillano anelli con pietre preziose; come la ragazza, Maria, che si perderà nelle voragini spalancate delle strade; come, infine, nel più ermetico dei racconti, la figura dai guanti bianchi e la borsa rossa, il velo verde chiaro e la pelle candida, sotto il cui grande fazzoletto bianco un esteta come il commerciante Joachim intuisce immediatamente "una rossa".
In copertina la raccolta riporta la fotografia in bianconero di una chiesa distrutta assieme all'indicazione di "inedito", che spicca sullo sfondo di un piccolo disco color arancio. Il racconto del titolo veramente figurava già in una precedente raccolta,Cane pallido (Einaudi, 1999), nella pregevole traduzione di Giovanna Agabio. Questa volta, invece, la traduzione diPrigioniero a Parigi e degli altri inediti del 1946 (fra cui piccoli testi poetici ispirati all'infanzia e al sogno, ai sogni e alle paure degli uomini) si deve alla penna e alla sensibilità di Vincenza Gini. Ed è forse il caso di osservare come i primi racconti dello scrittore, brutti o belli quanto potevano esserlo le prove di un visionario ossessionato dall'amore e dalla religione al punto da farne il nucleo incandescente della sua narrativa di guerra, rivelino un'ispirazione biblica, ma tradotta in chiave quasi cinematografica.
Lucia Borghese
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