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Anno edizione: 2007
Anno edizione: 2009
Anno edizione: 2007
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Mi e' piaciuto, e' il primo libro di Starnone che leggo, e penso proprio non sara' l'ultimo. Bella l'idea dei vari piani narrativi, e molto curato il modo di scrivere e raccontare le storie.
Bello. Vi dirò solo la cosa che mi è piaciuta di più: l'intersecarsi dei piani narrativi spinto fino a collocare il lettore nel punto di intersezione, che è il punto più interessante per vedere le cose a più dimensioni.
Per me e' la prima volta con un libro di Starnone, e mi e' piaciuto ! Ho trovato piacevole la scrittura su piu' piani e piuttosto coinvolgente la trama. L'ho consigliato a mio padre, che l'ha mollato dopo poche pagine...punti di vista!
Recensioni
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Una delle chicche più belle e avvincenti della nostra prosa quattrocentesca è senz'altro La novella del Grasso legnaiolo: la storia di una burla di sapore metafisico intentata ai danni di un Grasso, maestro d'intarsio, persuaso, da quell'uomo di "maraviglioso ingegno ed intelletto" di Filippo Brunelleschi e da altri suoi degni sodali, che lui, il Grasso, è un altro. Nessuna Bildung o ravvedimento per questo sprovveduto, a differenza di ciò che invece accade ad altri suoi celebri "fratelli" in dabbenaggine e semplicioneria: si pensi al Calandrino o all'Andreuccio perugino di Boccaccio. Il Grasso è e resta un "cuore semplice" sino alla fine, tanto che, dirupate dalla beffa brunelleschiana le precarie fondamenta del proprio io, preferisce la fuga. Il Grasso, a ben pensare, può apparire oggi come un esemplare in via d'estinzione, il paradigma esistenziale di un modello altro di umanità: quella formata dai "cuori semplici", renitenti al così fan tutti del cinismo affarista, della corruzione scaltra, della ragionevolezza servile del savoir vivre.
Se così è, un "cuore semplice" è, a modo suo, anche Domenico Stasi, protagonista en abîme di quest'ultimo romanzo di Domenico Starnone. A dispetto dell'età, questo professore in pensione, vedovo, due figlie, acciacchi e ipocondrie tipiche di una lucida senilità, è uomo dai non sopiti furori e dalle profonde malinconie. Continua a scandalizzarsi come se fosse ancora "un ragazzo arruffato" per lo stato in cui versa il mondo; si tormenta perché vede e sa che "la vita ricca di alcuni è il frutto delle vite mutilate dei più" e che "la democrazia è sempre più una procedura per fare in modo che i ricchi restino ricchi col consenso elettorale dei poveri". È quella stessa dolorosa percezione del mondo, strutturata su dati e analisi inoppugnabili, che caratterizzava le sue lezioni ex cathedra (a proposito: quantum mutatum ab illo il nostro Starnone!), quando consigliava ai suoi alunni proprio il racconto del Grasso come lettura decisiva e "obbligata".
Era in quelle pagine, fra l'altro, che si dimostrava quanto fosse arduo, nel corso di una sola vita, mantenere fede a ciò che si è. Una magistrale "fantasia d'ambiguità" quella deliziosa novella quattrocentesca quanto lo è quest'ultima complessa fatica dello scrittore di Via Gemito. Complessa per la sincerità mostrata da un io narrante che, dopo appena poche pagine, a racconto appena abbozzato, esibisce la traballante precarietà di una prima stesura sottoposta a continui rimaneggiamenti, squadernata nella sua frammentata labilità; a cui va aggiunta anche l'ambiguità della coesistenza, in questo Prima esecuzione, di almeno tre Domenico S. Il primo, probabilmente, è proprio Domenico Starnone, un io narrante indeciso sul racconto da scrivere, travolto da titubanze e ripensamenti quasi paralizzanti, preda di maniacali idiosincrasie e inopinate collere. È lui che stende una storia che, proprio come avviene nella novella del Grasso, "pare in molti luoghi frementata e mendosa": un work in progress pieno di ambiguità e irresolutezze, di spazi bianchi, dal finale irrisolto, una vicenda costruita su quel "cuore semplice" che è il professor Domenico Stasi. È un imprevisto "doppio movimento del caso" a far reincontrare questo secondo Domenico S. con due suoi ex studenti (una accusata di contiguità con la lotta armata, l'altro un poliziotto) che ordiranno ai suoi danni una beffa.
Ma stavolta nessuna fantastica leggerezza brunelleschiana: piuttosto una specie di feroce contrappasso, di crudele nemesi. "Costringendo" infatti il loro insegnante al ruolo di fiancheggiatore, prima, e di potenziale killer politico, poi, gli ex studenti vogliono condannare al "delirio del fare" chi per una vita intera, come Stasi, li aveva "sedotti" usando la potenza incantatoria della parola. Essi ritengono infatti che la radice prima della "serietà malata", che condiziona tanto pesantemente la loro esistenza, risalga per l'appunto a quelle sue lezioni, a quella specie di regesto dei mali del mondo sul quale ogni mattina il professore concionava. Per questo, inventano una burla dal sapore tragico, vendicandosi così della gravitas delle sue lezioni, incentrate essenzialmente attorno al principio, vagamente deterministico, secondo il quale ogni istruzione seria non può che condurre alla disobbedienza sociale e civile. Stasi, poi, da sempre è convinto che la santità sia una forma speciale della sovversione: da qui i suoi surreali dialoghi con un altro Domenico, quel san Domenico Savio, l'allievo di Don Bosco, ossessione fantasmatica delle sua vita, capace di presentarsi, lui morto quindicenne e da santo qual è, sotto molteplici forme: angelo con le ali di falco, trentenne bellissimo
Il finale (e non poteva essere altrimenti) è aperto e ambiguo. Così come non sembrano mai finire quei terribili e magnifici anni settanta rievocati tanto efficacemente, per tagli ed ellissi, in questo romanzo. È solo una "prima esecuzione" quella del professor Stasi, condotta con quel mix di "estrema involontarietà e suprema intenzione" che Benjamin attribuiva a Walzer, ma che è formula che tanto bene s'attaglia poi a tutti i Domenico S. di questo romanzo. Un libro, questo di Starnone, che non riconcilia e non consola, destinato anzi a dividere, che sparge sale e fiele su ferite tutt'altro che sanate, che vuol beffare ogni elusiva rimozione, ponendoci dubbi, interrogativi, questioni tutt'altro che risolte. Per esempio, le prime fra tutte, le più urgenti: che fare di fronte alla dissonante ingiustizia che pervade il mondo? Che differenza c'è fra ammazzare un animale e una persona?
Linnio Accorroni
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