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recensione di Carpi De Resmini, A., L'Indice 1995, n. 7
Sono solo gli storici della medicina a conoscere il carattere di effimera fantasia di non poche radicate "verità" della medicina? La sconcertante legittimità di questa domanda (J. Cule, in "Jour. Roy. Soc. Med.", ottobre 1994) ma anche qualche parola di ragionevole speranza emergono da questo breve saggio di Cosmacini al quale si debbono riconoscere due fondamentali meriti.
In primo luogo esso ci parla della vera crisi della medicina che, al contrario di quanto avviene nella letteratura straniera, ben tepida attenzione trova in Italia, ove gli episodi di "malasanità", frequentemente riportati dalla stampa quotidiana, finiscono per mettere in ombra la vera natura di questa crisi. In secondo luogo esso spiega l'evoluzione del pensiero medico e del 'modus operandi' che ne è derivato: dall'antico concetto ippocratico dell'uomo, indivisibile complesso di materia e di spirito, essi sono approdati all'attuale riduzionismo meccanicistico che dell'uomo fa una semplice anche se lunga somma di organi, di funzioni chimico-fisiche e chimiche, e del medico un tecnico esperto di alcuni di questi meccanismi dalla cui addizione risulta il soggetto di cui egli deve prendersi cura. Un riduzionismo che evidenzia i suoi effetti nei rapporti fra medicina e individui singoli, società e cultura.
L'interposizione fra medico e paziente di un apparato tecnologico e specialistico svuota l'atto medico di quella componente "di conforto, rassicurazione, amore, cura, soccorso, consolazione", di quella 'charitas', secondo Cule, o di quella filosofia (somma di filantropia e tecnofilia secondo Cosmacini) che dovrebbero caratterizzare l'atto medico e l'insegnamento medico. Un tale impoverimento erode il rapporto medico-comunità, privilegiandosi nei confronti della prevenzione l'atto curativo e la diagnosi precoce dalla quale si fa dipendere l'efficacia del primo; di fatto inganna i soggetti dell'intervento medico ai quali il trionfalismo con cui si descrivono le conquiste della medicina fa credere di poter chiedere a essa non già un sostegno alla propria condizione umana, ma un affrancamento da quelli che sono i limiti di questa condizione; sul piano politico e sociale, fa della medicina uno strumento di copertura che trasforma non pochi drammi collettivi in una somma di casi individuali che debbono essere risolti uno per uno come tali. In questa analisi breve ma ricca di rimandi a diversi scritti fondamentali (ma avremmo voluto trovare anche un accenno al contrasto fra medico che cura e medico che studia già sottolineato da G. Maccacaro e pienamente pertinente al confronto filantropia-filotecnia di Cosmacini) non si riassume il contenuto del libro che, pur nelle accennate e prudenti conclusioni propositive, mostra che fare della filosofia della medicina non vuol dire dedicarsi a un esercizio dialettico distaccato dalla realtà, ma inserire questa realtà in un più ampio quadro culturale indicando le vie da percorrere per correggerne le pericolose e taciute deviazioni.
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