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Giorgio Caponetti, grazie a una vivida capacità narrativa, ricostruisce e rimodella una storia misteriosa e insolita, componendo il delicato ritratto di un’epoca ormai al tramonto.
C’erano una volta quattro cavalieri. Il primo cavaliere si chiamava Federigo Caprilli. Ufficiale di Cavalleria, sarebbe diventato il più grande campione di equitazione di tutti i tempi. Il secondo cavaliere si chiamava Emanuele di Bricherasio. Ex ufficiale di Cavalleria, avrebbe fondato la più importante casa automobilistica italiana. Il terzo cavaliere si chiamava Giovanni Agnelli. Ex ufficiale di cavalleria, sarebbe diventato il più grande industriale e finanziere italiano. Il quarto cavaliere era mio nonno.
Sul finire dell’Ottocento, mentre l’Europa è attraversata da un febbrile processo di innovazione tecnica, all’Accademia militare di Modena si incrociano le vite di tre personaggi leggendari. Federigo Caprilli, il “cavaliere volante”, ha un talento cristallino per l’equitazione, è un seduttore audace e sfrontato, amante segreto di principesse e aristocratiche annoiate. Vive immerso nell’alta società, così come il suo grande amico Emanuele Cacherano di Bricherasio, detto “il conte rosso”, nobile illuminato ed eccentrico, che è invece di tutt’altra pasta: vicino agli ideali socialisti, amico di Edmondo De Amicis e mecenate di Pellizza da Volpedo, Bricherasio è elettrizzato dal progresso tecnologico e ama i motori. Anche il terzo cavaliere è appassionato di automobili. Giovanni Agnelli arriva da una ricca famiglia di Villar Perosa, è spregiudicato e maniacale, e non ha problemi a sporcarsi le mani tra ingranaggi e manovelle. Insieme a Bricherasio firma l’atto fondativo della F.I.A.T., dando il via alla produzione di automobili su vasta scala. Ma le loro idee appaiono subito contrastanti: Bricherasio sogna un’industria attenta ai lavoratori, nella produzione di automobili vede un principio di uguaglianza sociale, Agnelli invece spinge per un’innovazione costante, studia il mercato, fiuta i venti che spirano sull’Europa e non è disposto a perdere la corrente. È l’inizio di una storia oscura e romanzesca, perché due dei tre promettenti cavalieri moriranno in circostanze sospette. Bricherasio viene trovato morto poco dopo la sua messa in minoranza nel consiglio di amministrazione della F.I.A.T., apparentemente per un suicidio, ma il fatto è accaduto nella villa di un cugino del re, quindi qualunque ulteriore indagine viene proibita. Caprilli, ormai tra i cavalieri più famosi al mondo, campione di salto e maestro di equitazione, muore per un banale incidente a cavallo, dopo aver ricevuto le carte segrete di Bricherasio. È il 6 dicembre 1907. Con lui muore la cavalleria.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Raccontato come davanti ad un buon bicchiere di vino o di vermouth (data la connotazione sabauda) lascia al lettore, da prima ignaro e poi pienamente conscio, il riscatto di una generazione. La generazione 'prima' della 'prima' Guerra mondiale. I valori cavallereschi, il bisogno di nobiltà, più che feudale, morale, contro i grandi poteri fideistici-massonici, proiettati ad uno sforzo bellico neanche lontanamente umano. Il perdono concesso a chi aveva il coltello dal manico, infine si concede, per pena ma non per pietà. Quando ancora la Lancia non era Fiat, forse avrei girato per Torino con una Aurelia b24, oggi, credo che andrò a piedi.
Un libro che racconta l'affascinante storia romanzata del Capitano di cavalleria Caprilli e della nascita dell'industria automobilistica. Veramente bello e interessante.
Una storia che si intreccia con quella del nostro Paese e che racconta un'amicizia ed un'avventura imprenditoriale. Con qualche, inaspettata, sfumatura di giallo. Un libro da leggere.
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