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Il nome di Sarpi è legato alla sua Istoria del concilio tridentino e alla vicenda dell'Interdetto: tra il 1605 e il 1607 Venezia si oppose a Roma in nome della propria autonomia contro le pretese romane di preminenza religiosa e politica. Per piegare Venezia, Roma aveva "interdetto" l'esercizio del culto religioso, certa così di spingere il popolo urbano e rurale alla rivolta contro il doge. Ma così non fu, e sull'obbedienza religiosa prevalse la lealtà politica. Roma però non uscì del tutto sconfitta, come aveva sperato l'ala radicale dell'aristocrazia veneta. Troppo forte fu il timore che dalla riforma luterana potessero venire pericolose conseguenze politiche e sociali. A guidare il fronte veneziano radicale fu appunto Sarpi, la cui figura si staglia, gigantesca e rocciosa, nella storia culturale europea del Seicento.
A lui è dedicato questo magistrale libricino di Corrado Vivanti, che discute i vari studi sarpiani. Già Vittorio Frajese, del resto, aveva nel 1994 pubblicato un lavoro molto innovativo su Sarpi scettico; la pubblicazione dei Pensieri naturali, metafisici e matematici , a cura di Luisa Cozzi e Libero Sosio (Ricciardi, 1996), ha offerto poi nuove prospettive. Sarpi, a ogni buon conto, era tornato a Venezia nel 1589 da Roma, dove per tre anni era stato procuratore generale del suo ordine, i servi di Maria, carica seconda solo a quella di priore generale. Aveva trentasette anni. Conobbe il mondo romano e la delusione fu fortissima. A Venezia si dedicò alla meditazione filosofica, testimoniata dai Pensieri . Si occupò di scienze, dialogando con competenza con Galilei; attento alla nuova cultura francese, seguì nel diritto la lezione di Cujas, e in filosofia quella di Montaigne e Charron. Fu affascinato dal tema dei meccanismi della mente e dell'opinione e si interrogò su cosa fosse la coscienza dopo la demolizione che ne aveva fatto Montaigne.
A partire da considerazioni fisiologiche, la sua riflessione si allarga dapprima a conclusioni morali di impronta relativistica, sulla storicità della coscienza, sicché per lui il giusto non è tale in natura, ma per abitudine o per legge; in seguito investe un orizzonte politico. Occorre per Sarpi liberare le menti delle élite e del popolo dalle opinioni false per costruire valori civili, morali e religiosi che siano non il frutto della violenza del potere, ma del vero. Questo è anche il centro dell' Arte di ben pensare o del nascere delle opinioni . Con pari impavida lucidità, Sarpi riflette su politica e religione. Qui, sembra trovare echi e temi dell'antitrinitarismo unitario; lì, nel rifiuto dell'origine divina della sovranità, conseguente alla volontà di isolare l'esperienza religiosa, sembra pervenire, secondo Cozzi, a tesi hobbesiane. Ma il pensiero 405, che nella separazione di "repubblica" e "Torà" (o religione) configura la possibilità di un popolo ateo, sembra anche anticipazione del paradosso che alla fine del Seicento balenerà nelle pagine di un altro grande eretico, Pierre Bayle.
Questo lavoro di solitario, radicale approfondimento teorico fu interrotto nel gennaio 1606 dalla nomina a consultore della repubblica, appunto nella disputa con Roma. Sarpi lasciò la sua ventennale quiete e accettò con bruciante passione questo incarico, nel quale vide continuità con la propria meditazione e identità, ma che pure segnò una svolta nella sua vita. Nel 2001, per la cura di Corrado Pin, sono apparsi i primi due volumi dei Consulti sarpiani . Da questi Consulti emerge un'immagine della chiesa e dello stato in parte diversa da quella dei Pensieri . La sovranità è pensata seguendo Bodin; la chiesa antica è contrapposta a quella corrotta di Roma, dominata dal potere ormai illimitato del papa, con il che essa ha tradito la propria vocazione. Una chiesa estranea "a tutti li fedeli", di pertinenza degli ecclesiastici, "doppoi che (hanno) attribuito a sé solo il nome di Chiesa". La lotta che Sarpi guidò non fu perciò esclusivamente giurisdizionalistica, ma attaccò la realtà interna della chiesa. Aveva colto il senso della trasformazione che l'istituzione del Sant'Uffizio (1542) aveva provocato nella chiesa, per cui la sua polemica fu religiosa e civile. In un orizzonte diverso, approfondì il tema centrale dei Pensieri , ch'era quello della libertà.
La continuità tra i Pensieri e i Consulti sta appunto in questa radicalità che non viene scoperta da Sarpi nello scontro con Roma, ma che anzi lo spinge alla lotta: una radicalità che gli fece sentire l'esigenza di rigenerazione spirituale ormai lontano non soltanto dal cattolicesimo, ma da ogni cristianesimo istituzionale. In quella polemica Sarpi, se definì in modo nuovo le proprie convinzioni religiose e, in modo più elusivo, politiche, avviò anche una sua riflessione sulla storia. Proprio a ridosso della contesa, redasse la storia dell'interdetto, ossia la Historia particolare delle cose passate tra 'l sommo pontefice Paolo V e la serenissima repubblica di Venezia, negli anni 1605, 1606, 1607 , apparsa postuma nel 1624. Sarpi, lettore di Machiavelli, trovò un interesse storiografico che richiama, più che Erodoto, Tucidide (anche questo, forse, un ulteriore punto di vicinanza ideale con Hobbes), per la consapevolezza di aver direttamente partecipato a una contesa di enorme importanza, la quale, come scrisse al de Thou, aveva "tenuto sospeso tutto il mondo", perché la posta in giuoco era la libertà. Saranno i principi che lo guideranno nella stesura del suo capolavoro, la Istoria , che della cultura religiosa della controriforma fu la condanna più forte.
Per antitesi, è da richiamare ora il vasto e acuto lavoro su Bellarmino. Una teologia politica della Controriforma di Franco Motta (Morcelliana, 2005), che mostra appunto come il pensiero gesuitico coevo a Sarpi pervenne a conclusioni opposte. Il riconoscimento dell'ortodossia del molinismo impose una nuova tradizione, poggiante più sul concilio di Trento che sui padri della chiesa, che affermava "la supremazia indiscussa degli interessi politici della Chiesa rispetto all'integrità del lascito del cristianesimo delle età precedenti". Con questa posizione la religiosità di Sarpi era incompatibile. Sarpi era per la chiesa un eretico.
E questa è l'immagine, oltre a quella di Sarpi storico, politico, filosofo, pure felicemente tratteggiate, che viene discussa da Corrado Vivanti. Il problema affrontato è ancora quello della polemica di Sarpi contro il "totato", ossia il papato. Ma Vivanti compie una mossa assai originale: il vertice da cui guarda a Sarpi è appunto la definizione di eretico e colloca perciò quell'esperienza su un arco temporale, che inizia con Savonarola e con Sarpi si conclude. È l'arco della storia della vita religiosa italiana del Cinquecento così come Cantimori l'aveva definita. Dalla ricostruzione di Cantimori Sarpi era assente: la sua esperienza indicava il termine cronologico ad quem , ma non costituiva un problema specifico entro il gran tema degli eretici italiani. E qui sta, mi sembra, l'originalità dell'interpretazione di Vivanti, che collega le ricerche su Sarpi ai due filoni di studi che negli ultimi decenni hanno dato importanti risultati critici, a partire appunto dalla lezione di Cantimori. Da un lato, il contesto nel quale si inserisce Sarpi è quello che è stato studiato da Rotondò, poi da Ginsburg e Prosperi, attenti ai fenomeni culturali ereticali italiani e alla loro diffusione europea, come alla loro circolazione in vari gruppi sociali. D'altro lato, per misurare lo scontro di Sarpi con la chiesa, che progettò l'assassinio del frate, Vivanti evoca pure l'altro filone di ricerca, quello sulla controriforma, in particolare le ricerche sul Sant'Uffizio.
Posta dunque all'incrocio di queste linee, l'esperienza di Sarpi induce anche a una riconsiderazione storiografica. La storia del suo pensiero ereticale e del conflitto suo con la chiesa permette a Vivanti di ritornare sulle pagine erudite, ma di ispirazione chiesastica, di Hubert Jedin, per mostrarne l'ingiallimento. Per Jedin la positività della riforma apparteneva alla chiesa, non ai movimenti riformatori religiosi europei; ma se si misura questa riforma sulle vite opposte di Bellarmino e Sarpi o i Sozzini, si vede che quell'affermata positività fu invece causa di negatività e decadenza - come continuiamo a vedere con le oscure banalità del papa attuale. Sarpi fu un eretico, nel senso cantimoriano: ebbe forte la volontà di semplificazione dottrinale e, quale che sia stata la sua fede (insondabile come per Bayle o Vico), finì anch'egli con il togliere, come gli eretici o Montaigne, ogni senso alla tradizionale nozione di religione. Come dunque gli altri eretici italiani, pure Sarpi aprì squarci alla nuova religiosità e pare collegare i fermenti ereticali alla grande cultura seicentesca della tolleranza e della ragione.
Girolamo Imbruglia
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