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Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2019
Quel che resta di Dio, alla fine, è proprio la possibilità di nominarlo.
Le Cancellature di Emilio Isgrò hanno sollevato una questione che va oltre il mondo dell’arte e della letteratura: la possibilità della parola umana di sopravvivere in una società dominata dalla comunicazione virtuale. Cancellare non vuol dire distruggere, ma sottolineare le oscillazioni della parola tra essere e non essere, in un continuo mutamento che il mondo globalizzato sembra voler dimenticare.
Anche i libri di poesia di Isgrò si muovono in questa prospettiva. In Quel che resta di Dio sono le stesse zone tematiche a opporsi l’una all’altra, in un processo ininterrotto di cancellazione che travolge il Sud e l’amore, gli alberi e le pietre, la Sicilia e le tigri, la carne e il dopoguerra, Lorenzo il Magnifico e il Papa romano, l’America delle merci e il Mediterraneo degli annegati. Il tutto sostenuto da un linguaggio vario e composito dove i modi alti e solenni si alternano con naturalezza a quelli più bassi e colloquiali, riprendendo tecniche poetiche della cultura europea e italiana, come il sonetto, la terzina e la canzone, che oggi vanno difese dai tentativi di offesa.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Nella produzione poetica, Isgrò sembra preferire alla tecnica distruttiva delle cancellature una più mite operazione compositiva e di recupero, di cui dà testimonianza questo volume, in cui sono raccolte poesie scritte dagli anni ’80 a oggi. Qui i vari timbri espressivi si sovrappongono, in qualche modo riprendendo l’alternanza delle pratiche pittoriche, per cui ciò che viene rivelato sulla pagina ha lo stesso valore del sottinteso, del taciuto, dell’omesso. Lo stile di Isgrò, infatti, è composito e oscillante tra tradizione e novità, tra toni didascalici e accenti provocatori o ironici: più nei contenuti che nella forma si oppone all’ovvio cui ci hanno abituati l’uso e l’abuso di temi e linguaggi stereotipati, resi logori dalla banalità mediatica e dall’egemonia della comunicazione virtuale. La sua scrittura ricorre sia a forme chiuse (sonetti, distici, terzine e canzoni), sia a componimenti nostalgicamente descrittivi di una Sicilia ormai scomparsa, sia ad altri testi più rabbiosamente spavaldi o di coraggiosa denuncia civile. Osservando il declino di umanità nei vari aspetti del vivere sociale di oggi, l’autore si aggrappa a ciò che rimane di solidale, fraterno e gratuito nella famiglia, nell’amicizia, nella natura e nell’arte. Il suo è uno sguardo indulgente e amaro, lontano da censure e condanne: tuttavia intristito, e quasi sconfortato. Nell’americanizzazione della cultura mondiale, nella banalizzazione della sessualità, nella divinizzazione della finanza, nello scandaloso dramma dei morti nel Mediterraneo, l’artista vede il pericolo disumanizzante che incombe sul futuro di tutti: nemmeno il Papa potrebbe dire o fare qualcosa contro la spettacolarizzazione mediatica universale che riduce ogni tragedia a farsa. “Quel che resta”, come recitano i titoli delle varie sezioni di cui si compone il libro, è davvero poco, ma va comunque lasciato qualche minimo spiraglio alla speranza, soprattutto se radicata nella bellezza, privata dell’avidità di possesso.
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