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Aleykhem descriveva un mondo e una realtà conosciuta ai suoi lettori (di essi era considerato l’intercessore): le storie erano attraversate da un senso morale condiviso dalla tradizione ebraica, che combinava elementi magici, realistici e di critica sociale resi per mezzo della lingua del suo popolo, lo jiddish (mentre l’ebraico con la sua pronuncia sefardita era visto come lingua scritta, di studio, per uomini dotti – a tale proposito si vedano i capitoli iniziali della “Famiglia Karnowski” di I.J. Singer, qui il dissidio riguarda la scelta del tedesco a discapito del dialetto di Melnitz e del suo umile retaggio hassidico); poiché egli intendeva dare splendore letterario a questa ruvida e gergale lingua degli ebrei dell’Europa orientale, priva della sublimità liturgica dell’ebraico e di nicchia, minoritaria rispetto alla presenza dominante del russo. In questa cornice di pensiero e di intenti, Aleykhem fondò a Kiev una collana di libri chiamata, programmaticamente, “Di jidische folksbibliothek” (La biblioteca jiddish del popolo), all’interno della quale furono pubblicate ad intervalli regolari le opere di molti piccoli poeti jiddish; fra questi i romanzi di Mendele Mocher Seforim, di Jitzchak Lejb Peretz, di David Frischmann e i suoi primi romanzi “Stempenju” (1888) e “Jossele, die Nachtigall” (Jossele, l’usignolo, 1889). La collana ebbe naturalmente un vasto pubblico di lettori. A causa degli atti sempre più minacciosi e violenti della propaganda antisemita, Aleykhem fu attivamente impegnato per il movimento sionista; scrivendo nel settimanale “Der Jid” e confezionando brochure di propaganda ebraica. Tuttavia, decise poi di espatriare negli Stati Uniti, fermandosi a New York nel 1905, e non in Palestina; ciò dopo un lungo vagabondare per l’Europa (Aleykhem, per l’aggravarsi dei problemi finanziari e delle persecuzioni anti-ebraiche – come il pogrom, cui nel 1905 sopravvisse, a Kiev – aveva abitato prima a Kiev, poi a Odessa e Parigi).
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