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I problemi della gente, i comportamenti, le risposte, messi sotto la "scialitica della psicoanalisi" assumono proporzione e volti nuovi e costituiscono la vera novità del libro di Giuliano Albrizio: "Racconti irriverenti". Un lessico liscio e scorrevole, a volte ironico, effervescente che tira la risata; i riferimenti antropologici, la varietà dei racconti rende piacevole la lettura. Con assoluta discrezione c'è il garbato invito a essere migliori e diversi.
Si tratta di un tracciato di psicologia sociale dove gli individui di oggi, di ieri, di sempre risultano carichi di una personalità condivisa, ma pur sempre con le sfaccettature delle inclinazioni personali e dei tanti deficit caratteriali, causa primaria di fragilità umana. E' caustico Giuliano Albrizio, nonostante intersechi cenni di autocritica, quando si sofferma nel descrivere amaramente i peccatucci della sua gente; è altresì impietosamente realistico nella descrizione di anonimi personaggi che, con il loro comportamento fuori dalle righe o di sottotono, hanno annodato il loro percorso di vita ad una recita permanente, pur di ritagliarsi uno spazio che li faccia assurgere a figure di spicco. Eh già, perché questa sembra la finalità di chi chiede di esistere anche a costo di conquistarsi l’appellativo che ricorre frequentemente, per abitudine provocatoria, sulle labbra di tutti, di poveru fissa. Valutazione, questa, non scevra da affettuosità e che, comunque, scaturisce dalla percezione di un errore, di una distrazione, di una manchevolezza che il fuscaldese non perdona a nessuno soprattutto quando se la si interpreta in modo eclatante. Di riga in riga Giuliano Albrizio si addentra con stile piccante nei costumi, nel folklore, nelle feste popolari, nell’attenzione che meritano i riti funebri e nelle usanze che ne richiedono la partecipazione. Una definizione appropriata per questa prima esperienza libraria? Carta d’identità popolare di tutto rispetto analizzata davanti allo specchio; o, meglio, un’essenza civico-sociale dove il rapporto pensiero/azione del cittadino fuscaldese resta ineluttabilmente fermo alla tradizione che annaspa sulla falsariga della modernità.
Un libro che si legge tutto d’un fiato non scevro da riflessioni, risatine e commenti immediati. Il locus horridus che a volte fuoriesce da alcune descrizioni amare di un angolo di paese o addirittura dal modus vivendi di alcuni tipi, sornionamente si fonde nel locus amoenus del nostro meridione, delle sue caratteristiche uniche e ben distinte. Leggendo, sembra di leggere i pensieri e le azioni dei compaesani di ognuno di noi calabresi, che viviamo intensamente la vita dei nostri “paradisi imperfetti”. La chiusura melanconica, inoltre, rispecchia l’amore e la riverenza di un cittadino fuscaldese verace per il suo bel paese, a dispetto di quanti abbiano inteso il libro semplicemente e superficialmente un irriverente attacco contro vizi e malcostume.
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