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Anno edizione: 2008
Anno edizione: 2019
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Uno schietto "Finalmente!" è stato senz'altro il primo commento di studiosi e appassionati del Novecento letterario italiano all'uscita di questa corposa antologia di racconti caproniani, la più completa finora allestita: quarantasette prose narrative, alcune inedite, molte disperse in quotidiani e riviste di difficile reperibilità, composte in un arco di tempo di quasi vent'anni (le prime risalgono al triennio 1937-39, le ultime agli anni tra il 1960 e il 1963) con un notevole picco di frequenza nell'immediato dopoguerra, tra il 1945 e il 1950. La diversa concentrazione della produzione narrativa e la sua progressiva estinzione non sono ovviamente casuali: coincidono infatti tanto con le tappe di maturazione del Caproni poeta quanto con i diversi rivolgimenti che coinvolgono il contesto storico-letterario italiano.
A lungo incerto, negli anni giovanili, sull'abito di cui rivestire la propria vena creativa – le "tunichette fuori moda dei poeti" o la "concreta tuta dei prosatori" – in anni di frammentismo e di calligrafismo; contagiato poi, a guerra conclusa, dalla "smania di raccontare" e dal desiderio di partecipare del "multicolore universo di storie" (Calvino) che dà vita alla breve stagione del neorealismo, tra gli anni cinquanta e sessanta Caproni matura la riflessione sulle potenzialità narrative della scrittura in versi che lo porterà coerentemente, a metà degli anni sessanta, ad abbandonare la produzione narrativa. La misura del poemetto sperimentata in Biciclette e in Stanze della funicolare; le prime prove di montaggio del "libro di versi" con Passaggio d'Enea e Seme del piangere; l'invenzione, infine, del personaggio poetico come "interposta persona" dell'io autoriale nel Congedo del viaggiatore cerimonioso segnano i momenti salienti di questo itinerario che si sviluppa in coincidenza – paradossalmente – con la decisiva crisi in Italia della figura e del ruolo del poeta, restituendo tutta la misura dell'originalità della scrittura poetica caproniana.
Soltanto da un certo momento in avanti, dunque, Caproni scrisse "per forza" i suoi racconti: sia il versante dei contenuti sia quello della lingua e dello stile ne danno conferma. L'abbozzo di romanzo della fine degli anni trenta, il racconto di guerra Giorni aperti (assente da questa raccolta) e le prime prose di ambientazione partigiana mantengono una propria ragione e autonomia narrativa rispetto all'esigua produzione poetica coeva: pur con gli inevitabili giochi di rimandi dagli uni all'altra, è ben visibile in questo periodo l'impegno dell'autore nella costruzione dell'intreccio e nella definizione delle diverse psicologie dei personaggi, sostenuto da una sintassi ipotattica e da un lessico di tradizione letteraria che rivelano proprio nell'andamento difficoltoso, disuguale, antinaturalistico la loro funzione di "imparaticcio".
Nelle prose successive la distanza con la riflessione e la scrittura poetiche via via si riduce: la misura dei racconti si abbrevia, la "grande storia" cede il passo a storie minime (paradigmatico e bellissimo è il racconto Invisibili rovine) e poi al resoconto di particolari minimi all'interno di queste storie; la narratività si indebolisce e si sfalda, la caratterizzazione dei personaggi sfuma dinanzi alla pressione di urgenze diverse che intervengono sulla scrittura. Due fondamentali: la rappresentazione di un reale complesso e contraddittorio e la descrizione del disagio dei personaggi colti nel momento in cui prendono dolorosamente coscienza di questa situazione. Figure senza spessore e senza storia, convocate "a racconto" con quest'unico fine, anonime rispetto all'inviato governativo della Dimissione o al partigiano del Labirinto sono ad esempio il ciclista che sosta per pochi istanti nella locanda del racconto Il cappuccino, il giovane che offre la cena al suonatore ambulante nel Suono del violino, la ragazza che lascia il fidanzato perché non possiede un'auto nella Forza dell'automobile.
È difficile resistere alla tentazione di leggere in questi racconti l'anticipazione della successiva poesia caproniana: le antinomie logiche che la caratterizzeranno, espresse in una sintassi secca, brachilogica, giustappositiva, sembrano raggrumarsi sulle basi di queste precedenti prove narrative, dove il protagonista scopre un po' alla volta stratificazioni di senso in contraddizione tra loro e con la superficie apparentemente liscia del reale che credeva di conoscere. Di più: i racconti danno voce all'angoscia e alla disperazione conseguenti a questa scoperta attraverso un lessico elativo e ossessivamente iterato (l'"espressionismo" notato da Pasolini in questi racconti, ma anche dallo stesso Calvino, come carattere non secondario della narrativa resistenziale), che la poesia del Caproni maturo interverrà a mediare e equilibrare tramite un concorso di strategie di "rimozione" lessicali, sintattiche, stilistiche e metriche.
Non fu dunque solo per la necessità di pubblicarli nello spazio ridotto di qualche colonna di quotidiano che Caproni intervenne più e più volte su dattiloscritti, bozze e stampe di questi racconti, correggendo, scorciando e rifacendo talvolta daccapo. Se questi plurimi interventi rendono senz'altro difficile ricostruire la datazione e lo sviluppo cronologico della produzione narrativa caproniana, il criterio ibrido di organizzazione dell'antologia adottato dalla curatrice (in parte tematico, in parte cronologico, in parte basato su dichiarazioni dell'autore, con inclusioni ed esclusioni talvolta non giustificabili e fuorvianti), la scelta arbitraria di una redazione (talvolta la prima, talvolta l'ultima, talvolta l'ultima ma con l'inserimento di varianti manoscritte posteriori) e l'assenza di un indispensabile apparato critico rendono pressoché impossibile questo lavoro di ricostruzione, che aggiungerebbe un tassello importante non solo alla biografia letteraria caproniana, ma anche al panorama storico-letterario italiano tra primo e secondo Novecento.
Margherita Quaglino
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