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E' bruttissimo! non leggetelo! michele serra e' un bravo ragazzo e scrive begli articoli e racconti divertenti ma questo libro fa pena!
Leggere i libri dopo un po’ di tempo dalla loro uscita è molto utile. Il libro assume un ruolo diverso da quello per il quale è stato pensato: è come ri-contestualizzato, anzi posto del tutto fuori del contesto cui era destinato; derubricato a puro documento non gode né soffre delle variabili tutte che solitamente già all’inizio ne segnano il destino. De Il ragazzo mucca, per esempio, non ricordo la pubblicità (se ne hanno fatta), non ricordo eventuali recensioni (se ne hanno scritte), non ricordo in quale momento della storia professionale di Michele Serra usciva (Cuore era già finito?). Oggi è solo un libro: non è un prodotto destinato al mercato cercando di approfittare della notorietà dell’autore o dei fatti in esso descritti, o, meglio, non lo è più. Più particolarmente, regalatomi non ricordo in quale occasione (nessuna?!) da Pietro, era rimasto nella mia biblioteca a lungo, il dorso mimetizzato tra i libri di Claudia, giusto accanto a L’arte di amare di Erich Fromm. Quest’ultimo volume era rimasto lì per qualche tempo, prima che Francesca si accorgesse che si trattava della sua copia, con tanto di dedica di terzi e appunti e sottolineature residui della sua lettura tanti anni fa. – Che ci fa questo qui? – è stata la frase che ha segnato l’inizio della ricerca, da cima a fondo e per tutta la casa, di eventuali altri suoi libri da noi indebitamente trattenuti, magari dopo un prestito che rischiava pericolosamente di diventare usucapione. Intanto Il ragazzo mucca era già sul tavolino del salotto, sottratto al delirio della ricerca solo perché vantava la prova olografa del dono, una dedica strana e, adesso lo so, illuminante: Maggio ‘98 Per la prima volta regalo un libro prima di aver finito di leggerlo… E’ tanto bello? No E’ così originale? No E allora? Tu (omissis) lo capirai (quasi) subito. Perché a te? Bho! Ma forse, anche quello, lo capirai (quasi subito. E magari me lo spiegherai…
Recensioni
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scheda di Magone, T., L'Indice 1997, n.11
"Se io fossi soddisfatto di quello che ho scritto e di come ho vissuto (...) non sarei qui". È questo il motivo per cui Antonio Lanteri, quarantenne direttore del più importante quotidiano di sinistra del paese, "intellettuale brillante", ha abbandonato il giornale, i dibattiti che lo attendono, le interviste - "dal gel a Dio" -, in una parola il suo prestigioso ruolo pubblico, per rifugiarsi nella casa di famiglia in montagna. Il romanzo è la storia, ben scritta e non troppo avvincente, del rigetto fisico e psicologico di quel ruolo. I salutari rimedi sono, invece, il contatto con i famigliari e le "cose concrete da fare", "minime e tangibili", tra polpettoni, mucche, funghi e pupazzi di neve, il tutto scandito dall'osservazione quasi ossessiva del corpo e dei suoi sintomi. In questa cornice si inseriscono i ricordi del protagonista: l'adolescenza milanese tra cortei e primi amplessi, ma soprattutto le estati a Valmasca di cui la casa e le montagne circostanti sono state il principale teatro (la sua fuga lì è infatti un ritorno e una regressione). Queste parti, in cui maggiore è il peso dell'invenzione narrativa, risultano forse le più godibili del romanzo. Il racconto della crisi del protagonista, invece, risente di una certa difficoltà. Come il protagonista Lanteri, pur rifugiato tra i monti, finisce per tornare continuamente sul tema dei suoi rapporti con il mondo dei mass media (inchiodandovi anche il lettore), così Serra non riesce a fornire alla storia di un intellettuale di sinistra in crisi un respiro che la affranchi del tutto dagli stereotipi del dibattito giornalistico. Non a caso i personaggi più legati alla memoria e al passato del protagonista - e più lontani dall'attualità - sono i più riusciti del libro: lo zio comunista e miliardario, straripante di vitalità, che per i suoi stravaganti tentativi di impiantare imprese a conduzione collettivistica in vari paesi del Sud America finirà nelle liste argentine dei "desaparecidos"; e il padre, stimato micologo, che per indole e per mestiere alle avventure del fratello ha preferito una vita schiva e silenziosa, tra la penombra dei boschi, le minuziose catalogazioni e i fornelli. L'intera crisi di Antonio segue appunto un percorso che, allontanandosi dalla chiassosa vacuità delle rotative, si avvicina al modello paterno.
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