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Mühsam scrisse questa pièceteatrale nel 1928, pochi mesi dopo la morte di Sacco e Vanzetti. Su quanto era accaduto, l'autore tedesco (anarchico e per questo, nel 1934, ucciso dai nazisti nel lager di Orianenburg) aveva un'idea che non collimava affatto con le risultanze processuali. D'altra parte, si potrà dire, la prospettiva da cui muove l'artista è diversa da quelle che orientano il magistrato e lo storico. A distanza di oltre ottant'anni dalle rapine di Bridgewater e South Braintree, dal volo spiccato da Salsedo dal quattordicesimo piano del Dipartimento di giustizia di New York, dall'inchiesta condotta dal procuratore distrettuale Katzmann, dall'escussione dei testimoni nel tribunale di Dedham, dalla difesa condotta dagli avvocati Moore e Thompson, dalla sentenza emessa dal giudice Thayer, dalla inascoltata confessione di Madeiros, dal rifiuto di riaprire il processo opposto dalla commissione presieduta dal rettore di Harvard e, infine, dalla grazia negata dal governatore Fuller, la sola riflessione da cui oggi bisogna non separarsi riguarda i motivi che il 23 agosto 1927 condussero Sacco e Vanzetti sulla sedia elettrica della prigione di Charleston.
I motivi quelli veri, s'intende rinviano a variabili di ordine sociale (il fatto di essere immigrati), culturale (il fatto di essere italiani), politico (il fatto di essere anarchici) e privato (l'ambizione di un procuratore e di un giudice "in carriera"). Fu il cortocircuito innescato dall'intrecciarsi di queste variabili a fulminare il pescivendolo cuneese e l'operaio foggiano.
Non risultò necessario attendere la sentenza perché il processo si trasformasse in terreno di scontro fra quegli americani che appoggiavano la tesi del procuratore (ed erano la maggioranza, scrive Dos Passos) e quella parte del mondo occidentale che comprese ben presto la strumentalità del castello accusatorio. La vicenda di Sacco e Vanzetti colpisce, in primo luogo, per la sua capacità di mobilitare coscienze apparentemente lontane, polarizzandole intorno all'opinione secondo la quale gli accusati erano innocenti e gli accusatori erano colpevoli, un'opinione che, del sistema giudiziario statunitense, mise in dubbio non l'efficienza nello stabilire responsabilità e responsabili, bensì l'impermeabilità a indebite pressioni esterne. Questa vicenda vanta inoltre una cifra simbolica straordinariamente longeva, misurabile con il folto numero degli scrittori, degli artisti e degli storici che hanno continuato a occuparsene a molti anni di distanza, interrogandosi sempre meno sui fatti e sempre più sui suoi riflessi sociali e politici.
La ristampa del dramma di Mühsam, la cui prima traduzione in italiano fu presentata dallo stesso editore nel 1980, si spiega alla luce della moratoria per la pena di morte, come noto recentemente approvata dall'Onu. La causa è nobile e opportuno il volerla sostenere ricordando l'ingiustizia subita dai due anarchici italiani. Meno condivisibile appare la scelta dell'opera: nella sovrabbondante pubblicistica sul tema, coeva o successiva agli eventi, si sarebbe potuto scovare un testo più sobrio e di maggiore valore artistico. Roberto Giulianelli
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