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molto bello.Consigliato
L'unico, fra i moltissimi libri per ragazzi che narrano le vicende di Artù e dei suoi cavalieri, che approfondisca l'intero ciclo andando al di là delle vicende più note. Introduce, senza bisogno di spiegazioni, anche l'idea del lavoro filologico, facendo capire che la vicenda che noi conosciamo deriva dal lavoro di mani diverse e che essa deve essere costruita con un lavoro sulle fonti. Mio figlio ha letto l'intera collana in pochi giorni.
Recensioni
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VOGLINO, ALEX / GIUFFRIDA, SERGIO, Parsifal e Lancillotto, Jaca Book, 1985
(recensione pubblicata per l'edizione del 1985)
VOGLINO, ALEX / GIUFFRIDA, SERGIO, Art signore dei Britanni, Jaca Book, 1985
recensione di Castelnuovo, G., L'Indice 1986, n. 3
Questi primi due volumi fanno parte di un progetto editoriale che si propone di ricostituire in quattro volumi l'intero svolgimento dell'epopea bretone, dalla nascita di Merlino alla fine di Artù.
Chi da ragazzo ha letto e riletto appassionatamente i libri della Scala d'Oro ("I cavalieri di Artù", a cura di Diego Valeri, Utet, Torino 1958) e soprattutto chiunque ami l'atmosfera di magico mistero dei romanzi arturiani non può che rallegrarsi di vedere riproposte a un pubblico giovane leggende che continuano a mantenere intatto tutto il loro fascino.
Gli autori di questi volumi hanno però fatto una scelta che va discussa; da un lato essi intendono ricostituire l'unitarietà del ciclo bretone, collocando gli avvenimenti descritti "per la prima volta nel loro tempo storico", e, d'altro canto, vogliono mettere in rilievo la componente cristiana di questo insieme di miti presentando gli eroi arturiani come "campioni della tradizione e della cristianità". Essi introducono nel mezzo del racconto episodi di battaglie "storiche", come quella di Mount Badon, e legano a triplo filo la storia del Graal a quella della Tavola Rotonda.
Non si vuole con ciò criticare il modo in cui gli autori hanno usato le fonti: già nel medioevo fiorivano i racconti più disparati riferiti a uno stesso personaggio o a un episodio simile. Dunque l'omogeneizzazione del racconto è un'operazione lecita, a patto che ci si ponga al livello non della storia ma della fiaba, come ad esempio hanno fatto, sulla scia talora anche testuale, della "Scala d'Oro", Gabriella Agrati e Maria Luisa Magrini, curatrici per Mondadori di "Re Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda" (Milano 1985, pp. 143, Lit. 16.000). I dubbi sorgono invece dal fatto che, diversamente da Diego Valeri gli autori vogliono immettere di forza quest'insieme composito nel suo preteso ambiente storico, la Gran Bretagna e in primis l'odierno Galles, del V e del VI secolo. Il problema consiste nel voler creare un tempo storico a misura di Artù senza considerare le difficoltà sollevate dalle fonti disponibili e senza riconoscere che i personaggi arturiani hanno subìto una profonda evoluzione rispetto al loro primo apparire storico; essi sono essenzialmente creazioni dei romanzi bretoni che riflettono e interpretano non già la società celtica del VI secolo bensì quella che li concepì, la società cortese dei secoli XII e XIII. Infine, trascurare gli ingredienti più spiccatamente celtici (l'idea di un altro mondo misterioso e fatato) o cortesi (come il concetto di "fin'amor" cavalleresco) per mettere, invece, in evidenza quel condensato cristiano che è la "Queste" del Graal significa proporre le avventure dei prodi cavalieri bretoni unicamente come esempi cristiani. Inoltre, è una contraddizione in termini voler presentare Artù nella sua vera veste storica e allo stesso tempo mantenere la preponderanza dell'elemento cristiano nel racconto: perché è solo alla fine del XII secolo, con Robert di Boron e Chrétien de Troyes, che questi due filoni si incrociano e in questi poeti magnificamente si fondono.
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