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L'uscita in Francia del monumentale romanzo di Jonathan Littel, appena tradotto in Italia con il titolo Le benevole, ha sollevato non poche perplessità tra gli storici: è lecito rappresentare le vicende del Novecento, in particolare gli orrori della seconda guerra mondiale, attraverso l'epopea di un personaggio di finzione, per di più ex ufficiale delle SS? La questione, oltre che l'etica (spesso richiamata nella critica letteraria più recente), coinvolge lo statuto della narrazione ispirata a fatti reali e il suo rapporto con la storia. Un problema discusso tra gli altri da Hayden White e da Paul Ricoeur, che può essere ora affrontato con gli strumenti messi a punto da Federico Bertoni nel suo importante studio. La "storia possibile" ricostruita dal teorico dell'Università di Bologna riguarda infatti le declinazioni del realismo nella letteratura, soprattutto moderna: dal primo Ottocento di Hoffmann all'ultimo Novecento di DeLillo. Articolata in tre parti, la cospicua monografia è musicalmente scandita da un "preludio", quattro "interludi" e una "fuga": in totale, sei "frammenti" interpretativi dedicati ad altrettante narrazioni che collegano i consistenti "episodi" teorici su cui il saggio si basa.
Basterebbe allineare i sei titoli per intuire quanto i tratti del realismo studiato da Bertoni esorbitino dai canoni vulgati: Gli elisir del diavolo, Le città invisibili, Don Chisciotte, Il rosso e il nero, La vera vita di Sebastian Knight, Underworld. La scelta esemplifica una posizione: il realismo non è solo il modo narrativo che ha raggiunto il suo vertice con il romanzo ottocentesco, ma è anche un sistema di relazioni e di tensioni conoscitive che si rinnova al mutare delle coordinate epistemologiche. Così il discorso realistico cessa di apparire, come hanno osservato Barthes e Prendergast, il rispecchiamento autoritario di un presunto ordine "naturale" delle cose, per reagire con temi e paradigmi di rappresentazione letteraria estranei al novel, se non proprio anti-realistici: "Amo Balzac perché è visionario" scriveva Calvino nelle Risposte a 9 domande sul romanzo citate da Bertoni, e "amo Kafka perché è realista". D'altra parte, la verifica sui testi e la stessa consapevolezza teorica che sostiene la trattazione scongiurano il rischio di fare del realismo un'entità "confusiva" o, con Jakobson, un "sacco" dove infilare di tutto. Di qui anche l'insofferenza di Bertoni per certe "guarnizioni" preteoriche che sfumano il concetto di realismo senza definirlo (come l'aggettivo "magico" che spesso lo accompagna: ma è pur vero che, in mancanza di termini più specifici e giustificabili, l'ossimoro mantiene una sua efficacia comunicativa, se non descrittiva).
La rigorosa disamina delle molteplici definizioni di "realismo" accumulatesi in secoli di riflessioni filosofiche (a partire da Platone e Aristotele), interpretazioni critiche, semiotiche, storico-letterarie (fino ad Auerbach, Jakobson e oltre), dichiarazioni d'autore (Balzac, Stendhal, Zola, Woolf in verità non sempre all'altezza dei rispettivi esiti creativi) permette a Bertoni di proporre un'efficace sistemazione teorica, distinguendo non semplici categorie in rapporto di reciproca esclusione, ma "quattro diversi livelli di articolazione attraverso i quali leggere e scomporre qualunque fenomeno di scrittura realistica": tematico-referenziale (ciò di cui si scrive), stilistico-formale (come si scrive), semiotico (basato sulla conformità rispetto alle ideologie, alle convenzioni, ai modelli di comportamento determinati di una certa epoca), cognitivo. È nell'ultimo che avviene la mediazione tra il mondo descritto e, nei termini di Ricoeur, il mondo "rifigurato" per l'esperienza del lettore. Che il quarto sia per Bertoni il livello decisivo risulta con chiarezza nell'analisi conclusiva del volume, dedicata a Underworld di Don DeLillo, romanzo nel quale peraltro i diversi piani della mimesis riescono "a giocare in modo integrato". La "controstoria" che lo scrittore americano restituisce nel romanzo "esemplifica alla perfezione la capacità della letteratura di rivelare il lato nascosto del reale".
L'approdo che il realismo contemporaneo, nei suoi esiti migliori, può raggiungere consiste dunque nel superare il livello della mimesis, della tautologica ripetizione dell'esistente senza parlare della malafede di fiction e reality per dare del mondo una rifigurazione dotata di un forte valore euristico. Che è cosa diversa sia dalla semplice ricombinazione di elementi decontestualizzati, tipica del postmodernismo in accezione debole, sia dall'esasperazione del plot pseudo-storico nella nuova, ingombrante Trivialliteratur. Se questa è la conclusione teorica e critica del saggio, non c'è ragione per non approvare la dichiarazione, molto impegnativa nella sua semplicità, con cui Bertoni prende congedo: una grande opera è un "ottimo motivo, in fondo, per continuare a chiedere alla letteratura una possibile idea del mondo e della nostra vita". Niccolò Scaffai
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