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Le relazioni tra la modernità e le metamorfosi del sacro sono state indagate negli ultimi decenni da specialisti delle scienze della società, dell'uomo e anche da alcuni teologi. In questo ambito particolare attenzione è stata posta sul fenomeno descritto come "trasferimento di sacralità". Sappiamo oggi che nella modernità il sacro, anziché eclissarsi e sparire, da una parte sopravvive nelle forme tradizionali, conoscendo a volte quella sorta di ricarico di sacralità che sta alla base dei fondamentalismi religiosi; dall'altra si trasferisce su entità secolari dando vita a religioni laiche. E sappiamo che quando il processo di sacralizzazione investe la politica, nascono le religioni della politica.
Emilio Gentile, che aveva già messo a fuoco e inserito, in modo convincente, la "religione fascista" nel novero delle religioni della politica, va ora oltre il caso italiano e presenta "una introduzione critica allo studio della sacralizzazione della politica attraverso una indagine che intreccia la storia con l'analisi teorica", basandosi su alcuni esempi storici. Il nuovo lavoro riprende dove s'era interrotto Il culto del littorio (Laterza, 1993; cfr. "L'Indice", 1993, n. 5). Dal successo di quel volume a oggi, la recensione documentata e ricca di spunti di Renato Moro su "Storia contemporanea" del 1995, il parallelo fiorire di tutta una letteratura sul piano internazionale e la nascita nel 2000, con "Totalitarian Movements and Political Religions", di una rivista specificamente rivolta agli studi del settore, hanno progressivamente portato a maturazione la necessità di precisare con rigore questo nuovo campo d'indagine per la ricerca storiografica. E proprio in questa direzione va l'ultima fatica di Gentile, il quale, a più riprese, insiste su almeno cinque aspetti.
Il primo riguarda la convenienza e utilità conoscitiva di considerare le religioni della politica, pur se orfane della trascendenza, come religioni a tutti gli effetti. Gentile, infatti, non ritiene soddisfacente l'interpretazione, che chiama ciurmatorica, di Gaetano Mosca, secondo cui la sacralizzazione della politica sarebbe solo un espediente, propagandistico e demagogico, consapevolmente adottato al fine di conquistare il consenso. Già più confacente trova l'interpretazione fideistica di Le Bon, per il quale l'impulso religioso nascerebbe dal basso, nella psicologia delle masse e dal "bisogno di sottomettersi comunque ad una fede, divina, politica o sociale". E più ancora sembra ritrovarsi nella spiegazione funzionalistica di Durkheim, per il quale la religione, intesa come coerente sistema di credenze, costituisce l'espressione dell'unità e identità di un gruppo sociale. Ulteriore conforto trova, poi, nella teoria del numinoso (inteso come manifestazione di una potenza misteriosa, immensa, maestosa e terribile che starebbe al centro del sacro) da cui Rudolf Otto fa derivare le religioni. Un numinoso che, com'è storicamente avvenuto, è stato individuato nello stato, nella guerra e nella rivoluzione. In definitiva, Gentile ritiene del tutto legittimo considerare le religioni della politica come un modo di interpretare la vita, la storia e la politica "attraverso credenze, miti, riti e simboli riferiti a un'entità secolare sacralizzata, che ispira fede, devozione e coesione fra i suoi credenti, prescrive un codice di comportamento e uno spirito di dedizione per la sua difesa e il suo trionfo".
Il secondo aspetto riguarda la distinzione analitica, già avanzata ne Il culto del littorio, tra religione politica (propria dei regimi totalitari) e religione civile (propria dei regimi democratici), che Gentile utilizza e riformula, attribuendo alla prima un carattere esclusivo e integralista, mentre definisce la seconda come una sorta di credo civico comune, sovrapartitico e sovraconfessionale.
Il terzo aspetto concerne il carattere intrinseco e non strumentale della dimensione religiosa dell'esperienza totalitaria. Anche se, precisa Gentile, studiare il totalitarismo come religione politica "non significa cercare unicamente in questo aspetto la spiegazione della sua natura e del suo significato storico". Per quanto riguarda il fascismo, che giudica come prototipo delle religioni politiche del XX secolo, l'autore muove dalla percezione che dei suoi aspetti religiosi ebbero alcuni osservatori coevi, italiani e stranieri. E analogo procedimento adotta sia nei riguardi del nazismo, come religione del sangue e della razza, dell'odio antisemita e dell'idolatria di Hitler, sia del bolscevismo, che, pur non presentandosi mai soggettivamente come religione della politica, si nutrì dell'entusiasmo escatologico marxista-leninista e delle credenze millenaristiche proprie della tradizione russa. Passa poi a esaminare le prime vere e proprie analisi che si svilupparono in ambito cristiano negli anni venti e trenta con Sturzo, Maritain, Bendiscioli, con il pastore protestante francese Gounelle, con i padri Bevilacqua, Brucculeri e Messineo, e nella conferenza ecumenica di Oxford (1937) e nelle Settimane sociali dei cattolici francesi. Tali analisi rivestono per l'autore un'importanza fondamentale. Come non prendere sul serio le religioni politiche se furono proprio i ministri dei vari culti cristiani a coglierne e denunciarne la pericolosità? Dalla rielaborazione di queste analisi nasce la definizione che Gentile propone del totalitarismo come, tra l'altro, esperimento di dominio politico, latore di una rivoluzione antropologica destinata a creare lÆuomo nuovo, della quale la religione politica sarebbe uno dei tratti costitutivi e fondamentali.
Il quarto aspetto si riferisce alla necessità di distinguere le religioni della politica dai fenomeni premoderni di sacralizzazione del potere politico e di considerarle come oggetto distinto da altri campi d'indagine, tutt'al più limitrofi, quali: la politicizzazione della religione (cesaropapismo, teocrazia, fondamentalismi vari); la "nuova politica" definita e descritta da Mosse, che, guardando alla produzione simbolica, rituale e all'estetica della politica, non necessariamente si presenta come un fenomeno di sacralizzazione; l'"invenzione della tradizione", così come essa è stata formulata e studiata da Hobsbawm, perché le religioni della politica non sono solo il risultato di una "costruzione".
Il quinto e ultimo riguarda i rapporti delle religioni della politica con le religioni tradizionali, rispetto alle quali, secondo Gentile, le prime risultano essere mimetiche (in quanto derivate), sincretiche (per gli aspetti che ne incorporano) e, per la loro durata, effimere.
Gli argomenti trattati, e le suggestioni, sono indubbiamente assai di più. L'autore presenta un profilo comparatistico delle più importanti manifestazioni di sacralizzazione della politica dal Settecento alla prima metà del Novecento, soffermandosi in particolare sulla sincretica religione civile americana (la prima e più longeva) e su quella della Francia postrivoluzionaria (tendenzialmente antagonistica al cristianesimo). Fa risalire alle due rivoluzioni democratiche del Settecento alcuni elementi fondamentali della struttura mitopoietica delle religioni della politica: i miti della rigenerazione attraverso la politica, dell'uomo nuovo e del popolo eletto creatore di nuove istituzioni che recheranno al mondo la salvezza. Non tralascia l'impatto della prima guerra mondiale e il culto dei caduti. Tratta del rapporto tra Chiesa e fascismo, mettendo in luce che la gravità della statolatria fascista non fu percepita sempre con apprensione dai vertici ecclesiastici. Si sofferma sulle principali manifestazioni di sacralizzazione della politica nella seconda metà del Novecento, sia in riferimento ad alcuni paesi del socialismo reale, sia a proposito degli stati sorti dalla fine del colonialismo, per i quali, seguendo l'interpretazione del sociologo David Apter, la sacralizzazione della politica è stata il principale veicolo per legittimare le nuove istituzioni e cercare di formare un'identità nazionale al di sopra delle divisioni etniche, religiose e linguistiche.
Ai casi trattati, o ai quali si fa cenno, se ne potrebbero aggiungere altri, non meno significativi. Si pensi al nazionalismo basco sul quale negli ultimi anni sono apparsi pregevoli studi proprio come fenomeno di sacralizzazione della politica. Sempre a proposito della Spagna, poi, che Gentile ricorda in riferimento al franchismo come esempio di "nuova politica" senza religione della politica, andrebbe ricordato anche il tentativo di elaborare una religione civile, compiuto, riprendendo la tradizione repubblicana precedente, nei primissimi anni trenta, durante la Seconda Repubblica. Così come una maggiore attenzione alla secolarizzazione dell'ebraismo, e al sionismo, avrebbe forse messo in luce origine, efficacia e durata di alcuni archetipi. Ma la campionatura dei casi proposti risulta più che adeguata a sostenere l'impalcatura teorica e interpretativa di Gentile. Nella sua storiografia si avverte la lezione di molti padri nobili. Ma più chiaramente si avverte un'impronta originale e innovativa. L'uso di nuove categorie pone sempre lo storico di fronte a un bivio. Può imboccare la scorciatoia di ripercorrere quanto noto e di risignificarlo alla luce della nuova categoria per convalidarne l'efficacia. O può arrischiarsi sulla strada più tortuosa di ripartire dal processo storico per verificare la capacità della nuova categoria di portare alla luce aspetti trascurati.
Considerando le religioni della politica come una ierofania della modernità, Gentile pone la necessità di approfondire lo studio dei processi di modernizzazione sul piano ideologico, culturale e simbolico. Raccogliere tale invito vuol dire indagare sui dispositivi di istituzionalizzazione delle religioni civili più longeve e compiere una mappatura delle diverse sensibilità che vi convivono. In definitiva, accertatane l'esistenza e la durata, scriverne la storia. Vuol dire tornare a interrogarsi sui molteplici effetti della secolarizzazione, che se ha progressivamente interiorizzato e privatizzato la fede tradizionale, ha lasciato anche un vuoto nella dimensione pubblica e sociale, che le religioni della politica hanno tentato di colmare. Ineludibile necessità di una dimensione pubblica della religione o debole interiorizzazione della fede? Vuol dire tornare a riflettere sui nessi tra secolarizzazione e laicizzazione, alla scoperta delle resistenze psicologiche e storiche che la laicità ha incontrato e incontra nel suo cammino. Significa, infine, anche volgere lo sguardo alle religioni tradizionali sotto una luce nuova. Se le religioni della politica sono anche un rispecchiamento di quelle tradizionali, lo studio delle prime aiuta indirettamente alla conoscenza del tipo di modello che le seconde hanno offerto. Da questo punto di vista, il bel libro di Gentile dovrebbe rivelarsi utile anche per gli storici delle religioni, del cattolicesimo e della Chiesa.
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