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Il disfacimento totale della vita, sempre più svilita in un mondo avvelenato dal denaro, dalla mediocrità, dai sentimenti più meschini. Wilhelm ha fallito in tutto, e ormai non può più redimersi: i falliti - e a parlare è il sogno americano smascherato in incubo - non meritano alcuna compassione. I padri, dinanzi alle debolezze dei figli, devono manifestare disprezzo: "Ma come" - dicono - "Noi siamo partiti dal nulla e abbiamo avuto successo nella vita. Come è possibile che non ci riusciate anche voi?". Noi, i falliti, non abbiamo diritto ad alcun conforto. Umiliati, viviamo da passivi spettatori gli scacchi subiti. Spezzati, ci sembra che manchi l'aria intorno a noi, quando in realtà se non respiriamo è perché i problemi ci strozzano, come un cappio stretto intorno alla gola. Ammutoliti, senza più speranze, senza più legami, non ci resta che accettare la solitudine, sprofondando "oltre il dolore", proprio come Wilhelm nelle ultime tragiche pagine di questo capolavoro.
Mi lascerò andare a una confessione definitiva, irretrattabile senza un filo di freno e di rimpianto. Qui c'è uno dei più grandi finali della storia della letteratura mondiale, una di quelle rare, rarissime intuizioni del genio dove ascesa e discesa interiore convergono insieme verso una specie di ascesa maggiore. Non chiedetemi come sia possibile questo miracolo di poesia, ma so che c'è e che accade: "Il grande e beato oblio delle lacrime nel centro di una folla". Che significa? Bisogna che entriate in questo capolavoro, l'alito di un Bellow apparentemente stringato, lontano dai suoi viaggi di pagine lunghe come Herzog o Humboldt o Augie March, ma non meno intenso e perfetto nel suo scandaglio d'autore. Un padre e un figlio uno davanti all'altro, la lite etera fra forma sociale e verità di dentro, il perno della sofferta coerenza d'animo contro la vita adibita a freddo vantaggio, a interesse, a ruolo, senza più un refolo di calore sentito: "Un uomo come voi si trova in difficoltà perché non vuole scambiare un'oncia d'anima con un chilo di prestigio sociale". Senza svelare troppo, e tuttavia strappando alla veste del compiuto una manica di verità, qui troverete descritta, come mai forse da altre parti vi è capitato, la differenza fra "anima vera e anima falsa", il modo in cui quest'ultima depredi e avvilisca la prima costringendola a scelte non amate, a un grigio nonsenso di giorni, alla fine. Perchè anche se tutti siamo "come le facce di una carta da gioco", potendoci guardare da due parti, c'è chi stenta resistendo fino a costringere il cuore agli angoli di un'inquietudine per niente facile, ed anzi angusta, ombrosa, perdente. Se non fosse però che proprio lì lo aspetta la letteratura, la grande Madre del pensiero che tutto scruta e tutto nota, che abbatte per rafforzare, che uccide per accrescere. E che senza mezze misure timbra ogni giro di frase in un solo momento, quando ci ricorda che: "Un uomo vale quanto le cose che ama". Libro prodigioso.
Un uomo asserragliato dentro la propria inettitudine e i suoi numerosi fallimenti, incapace di dare una direzione alla propria vita, di risolversi e risollevarsi. Un racconto basato sull’inazione di una personalità infantile e capricciosa che, tuttavia, Bellow rende dinamico, rappresentando la caduta degli alibi di Wilhelm in una spirale inarrestabile e soffocante. Non c’è nulla di scontato in queste pagine. Dall’ambientazione claustrofobica di un hotel-residence brulicante di varia umanità, ai protagonisti a loro modo tutti negativi in quanto maschere delle tante meschinità che trovano terreno fertile nell’incapacità di un solo uomo di auto determinarsi. Bellow mette in luce con spietatezza il lato patetico del protagonista, esasperandone i contorni grotteschi quando Wilhelm si misura con la manipolazione, o l’indifferenza, con l’opportunismo di chi ha colto le sue debolezze, oppure con l’irriducibilità paterna e dell’ex moglie. Tutto e tutti concorrono in un perfetto contrappunto a dare dinamismo e tragicità all’inevitabile resa dei conti.
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