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La resa di Roma. 9 giugno 53 a. C., battaglia a Carre
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La resa di Roma. 9 giugno 53 a. C., battaglia a Carre - Giusto Traina - copertina
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La resa di Roma. 9 giugno 53 a. C., battaglia a Carre

Descrizione


Il 9 giugno del 53 a.C, sulla pianura di Carre nell'Alta Mesopotamia, un esercito di cavalieri venuti dall'Iran e dall'Asia centrale sbaraglia un'armata di oltre cinquantamila uomini, inviati da Roma a conquistare l'impero rivale dei Parti. Oltre metà dei legionari trovano la morte sul campo, molti altri sono presi prigionieri e deportati, e quel che è peggio i nemici si impossessano delle insegne militari, estremo disonore per anni nella coscienza collettiva romana. Il generale, Marco Licinio Crasso, è massacrato poco dopo la battaglia, e il suo cadavere oltraggiato rimane insepolto. Lo scontro segna una battuta d'arresto per Roma: la sua avanzata verso la conquista del mondo, ritenuta fino ad allora inarrestabile, è bloccata da un'armata di cui erano state sottovalutate la perizia militare, la forza d'urto e, soprattutto, la capacità di resistere al temibile dispositivo della legione.
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Dettagli

2010
7 ottobre 2010
XV-212 p., ill. , Brossura
9788842094234

Valutazioni e recensioni

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maurizio
Recensioni: 5/5

Ottima la ricostruzione degli eventi. Fedele al periodo storico.

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Alessandro
Recensioni: 4/5

In questo libro la Battaglia di Carre in sé, lo scontro in senso stretto, viene trattato in modo molto sintetico e conciso, seppur chiaro e completo. L’autore dà molto più spazio alla descrizione di Crasso e della sua figura attraverso i secoli, come e perché questa battaglia lo abbia marchiato, e con lui viene descritta la situazione politica e la realtà romana dell’epoca. C’è un’ampia analisi delle fonti romane posteriori allo scontro, negli ultimi anni della repubblica e nelle varie epoche imperiali. Quello che emerge è l’enorme importanza ideologica, se non strategica, di questa sconfitta. I giudizi magari potevano cambiare in base alla politica orientale “dell’uomo forte” di turno, ma nei romani rimasse sempre forte il desiderio di rivalsa. In un certo senso la domanda a cui il testo vuole rispondere è: « cosa significò quel giorno per Roma? » Al contrario, rispetto alla controparte romana, ben più misera è la prospettiva dei parti (tenendo conto che da parte loro ci rimangono ben poche testimonianze). Tuttavia Traina ne delinea molto bene l’essenza e le caratteristiche, tracciando un buon profilo del loro impero e di quei fattori da cui derivava la loro tattica militare. A tal riguardo l’unico difetto sta nell’introduzione storica, decisamente povera di dettagli sull’ascesa e la formazione dell’impero arsacide. Ho trovato molto interessante il discorso finale sul lungo rifiuto degli occidentali di riconoscere la potenza militare dell’Oriente e soprattutto del Medio Oriente.

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Voce della critica

"È problema oscurissimo della storia militare antica la tragica impotenza dell'esercito romano contro le frecce partiche nella giornata di Carre. Ogni tentativo di spiegazione sfugge il nucleo della questione, e si risolve per lo più nel costruire come avvenne la sconfitta, non nel determinare perché essa avvenne. Tutt'al più si indicano alcune cause generali del cattivo andamento della campagna: la situazione politica, l'indisciplina e la stanchezza dei soldati, il terreno sconosciuto, l'insufficienza della cavalleria, la sottovalutazione del nemico, la troppa confidenza negli alleati orientali, ecc. Ma la ragione per cui l'armamento stesso delle legioni fu assolutamente impotente di fronte agli arcieri, ch'erano ancora sempre i medesimi delle precedenti battaglie dei Greci e dei Romani, rimane misteriosa". Così scriveva, pochi anni prima della seconda guerra mondiale, il giovane Albino Garzetti, che divenne poi uno studioso di fama e a cui si deve uno studio fondamentale (in "Athenaeum", 1941-1944, nn. 29-30).
A distanza di molti anni da quella valutazione, che ha costituito una sorta di vulgata storiografica, il volume di Giusto Traina si propone di fare il punto della situazione su un episodio molto noto della storia politica e militare di Roma antica: la sconfitta di Crasso a Carrhae (oggi Harran in Turchia) contro i Parti, nel 53 a.C. Le legioni romane, comandate dal console Marco Licinio Crasso (l'uomo che aveva sconfitto Spartaco nel 73 a.C. e stipulato un patto con Cesare e Pompeo nel 60 a.C.), furono sopraffatte dalla pioggia di frecce degli arcieri parti e dalla straordinaria cavalleria catafratta: la disfatta fu totale, Crasso morì e con lui il figlio Publio, i tribuni e ventimila uomini, le insegne furono catturate dal nemico e l'onore perduto. La battaglia, in realtà poco più di un increscioso episodio all'interno della politica estera di Roma, ebbe importanti riflessi sull'opinione pubblica negli ultimi anni della Repubblica e una grande eco storiografica, anche in età postclassica. L'attenzione degli storici antichi si è concentrata ora sulle responsabilità di Crasso ora sull'inadeguatezza della tecnica militare romana, mentre i moderni hanno analizzato la battaglia sotto il profilo strategico-militare, conferendo all'evento un rilievo francamente eccessivo; negli ultimi anni, nel clima di attualizzazione dell'antico, la disfatta di Carrhae è stata addirittura chiamata in causa per condannare l'incauta politica statunitense in Iraq.
Traina è un grande esperto di storia dei rapporti tra il mondo romano e i regni orientali e un fine studioso della cultura armena: pur descrivendo con dovizia di dettagli il teatro della operazioni belliche (anche con un originale sguardo alle rare fonti partiche), non sopravvaluta l'episodio e le sue conseguenze in termini militari. Certamente Crasso non fu un generale geniale (mentre il suo avversario Surena sì) né carismatico con i suoi uomini, ma non commise errori determinanti, e Traina tende infatti a ridimensionarne le responsabilità: le ragioni della sconfitta sono da attribuire a un insieme di fattori tra i quali la mediocre qualità delle truppe (le migliori erano impegnate in Gallia, con Cesare), il terreno poco noto e difficile, un imprevedibile crollo psicologico dei soldati. Del resto, le disavventure militari nelle quali incappò Roma furono numerose, come è normale anche per l'esercito più solido della storia, e non tutte ebbero conseguenze epocali. Certo, la disfatta impose una riflessione più seria in merito al controllo del confine orientale ma, in realtà, fu la morte di Crasso ad avere conseguenze determinanti: con lui ebbe fine quel delicato equilibrio che si era creato a Roma all'indomani del cosiddetto triumvirato e, tra Cesare e Pompeo, la situazione finì per precipitare.
Traina ritiene importante sottolineare anche il valore simbolico dell'evento bellico, come per molti altri che riguardano Roma antica e i suoi protagonisti. Carrhae fu assunto a emblema dell'eterno scontro tra Occidente e Oriente, come era stato per Salamina contro i Persiani e come sarà Azio tra Ottaviano e Antonio; il desiderio di vendetta e il recupero delle insegne furono gli slogan della politica estera augustea che si limitò, di fatto, a una prudente azione diplomatica; a differenza di Crasso, l'optimus princeps Traiano non fallì in Oriente e il ricordo della sconfitta suggerì ad Adriano una politica accorta (in realtà rinunciataria); la prospettiva tardoantica interpretò le numerose campagne orientali dei Romani come episodi di un'unica lunga guerra combattuta sulla frontiera dell'Eufrate, ma Carrhae restava pur sempre un argomento di attualità, specie in relazione alla discussa politica di abbandono delle mire imperiali sull'Armenia. In periodi recenti, la sfortunata spedizione di Crasso ha assunto via via i contorni, del tutto impropri, di uno "scontro di civiltà" utile a polarizzare, ma anche a semplificare, logiche e categorie geopolitiche che nulla hanno a che vedere con il mondo classico.
Silvia Giorcelli

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