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Descrizione


Roma settembre 1943 - giugno 1944: il racconto dei nove mesi dell'occupazione tedesca di Roma, il ruolo decisivo e segreto del Vaticano, i tedeschi, Badoglio e Graziani, i politici nascosti nei conventi, i retroscena, gli inganni e le verità che decisero il futuro del nostro paese. La ricostruzione di Forcella poggia su una documentazione precisa, attenta e su uno stile limpido, veloce e narrativo.
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Dettagli

1999
19 ottobre 1999
9788806148805

Voce della critica



Forcella, Enzo, La Resistenza in convento, Einaudi , 1999
Dondi, Mirco, La lunga liberazione. Giustizia e violenza nel dopoguerra italiano, Editori Riuniti , 1999
recensioni di Flores, M. L'Indice del 2000, n. 03

L'8 settembre 1943 è stato oggetto, negli ultimi anni, di un rinnovato interesse storiografico, che ha trovato nel volume di Elena Aga Rossi Una nazione allo sbando (il Mulino, 1993, 1999) il suo momento di maggiore approfondimento ed equilibrio. Alcune delle più impegnative "revisioni" che sulla recente storia d'Italia si sono tentate avevano proprio quella data come punto di attrazione interpretativa. Spesso, però, essa è stata usata come contrapposizione e contraltare all'altro momento simbolo degli anni di guerra, il 25 aprile 1945: e per estensione all'intero periodo che intercorre tra queste due giornate fatidiche, quello segnato dalla Resistenza da un lato e dalla Repubblica sociale dall'altro, due momenti considerati in qualche modo spuri, entrambi, rispetto a una tradizione nazionale che accomunerebbe nel cambiamento l'Italia liberale, quella fascista e quella repubblicana.
Proprio questo breve biennio, in realtà, è stato oggetto negli ultimissimi anni di novità storiografiche importanti, più forse di quelle relative al fascismo e alla repubblica che datano ormai - quelle più innovative - a un decennio e forse più. A tornare su questo argomento, in modo particolare ma con la forza di una originalità dettata dall'intelligenza e dalla riflessione, è il volume postumo di Enzo Forcella, che raccoglie la ricostruzione dei mesi dell'occupazione nazista di Roma, dal settembre 1943 al giugno 1944. Forcella aveva praticamente terminato il lavoro quando la morte lo colse nel febbraio dello scorso anno: un racconto-testimonianza, rivissuto con gli occhi del giornalista e storico ma anche del giovane ufficiale in licenza di convalescenza costretto a prendere posizione di fronte alla Storia, ad avvenimenti che osserva con curiosità ma cui rifiuta di aderire nelle forme impegnate ed estreme delle minoranze attive dell'epoca.
Il libro di Forcella, con le pagine conclusive dei frammenti di diario altrettanto acute e rivelatrici, è forse il racconto che più riesce a gettare luce su quel fenomeno, sempre ricordato e recentemente più volte indicato come necessario oggetto di studio, che è l'attendismo, anche se di questo termine lui stesso indica ambiguità, aporie e inconsistenze. "Non sono stato un collaborazionista, né tanto meno un 'repubblichino'. Ma non ho avuto niente a che fare con la Resistenza in senso forte, armata o politica. Non mi riconosco neppure nella categoria delle 'vittime non partecipi'. 'Attendismo', 'resistenza civile', 'resistenza passiva'".
Guerra per la sopravvivenza, rifiuto della storia (che sarà ripagato per il resto della vita da un'attenzione assillante e quotidiana per la storia che si fa, per la politica), difesa del disimpegno, rifiuto della partecipazione e della politica senza riuscire a non esserne coinvolto e risucchiato, dibattiti e discussioni tra coetanei, curiosità e attenzione per le scelte degli altri: questa è la "linea d'ombra" che la generazione di Forcella, di chi ha vent'anni negli anni della guerra, deve comunque attraversare, ognuno a suo modo. Accanto al modulo prevalente, almeno nel canone storiografico antifascista, dell'Errore-Smarrimento-Riscatto (che riassume la triade, non solo cronologica, di fascismo - 8 settembre - Resistenza), Forcella suggerisce e tenta di analizzare - attraverso un'autoanalisi a posteriori e un confronto con storiografia e memorialistica essenziale e serrato - la vicenda degli "sbandati", dei senza banda, di capire la strategia difensiva di non fuggire e non lottare, mettendo tra parentesi sofferenze e pericoli, astraendosi per quanto possibile dal contesto in cui si è costretti a vivere.
Queste riflessioni sono raccolte per lo più nei frammenti di diario che concludono il libro e sono un controcanto intimistico e razionale al tempo stesso al racconto che costituisce la parte essenziale del volume e cioè la storia di Roma nei mesi dell'occupazione nazista. È un racconto vivace e serrato, che cerca di narrare Roma "città aperta" e che identifica nel Vaticano il protagonista assoluto della politica e della vita pubblica di quei mesi. Il modus vivendi tra Vaticano e "germanici" (come li chiama l'"Osservatore Romano") è il filo rosso di una ricostruzione che si snoda attorno ai conventi, ai seminari, alle basiliche romane che nascondono e proteggono antifascisti ed ebrei, disertori (del famigerato bando Graziani, i cui familiari, così come quelli del suo antagonista Badoglio, sono rifugiati in Laterano) e sovversivi. La narrazione di Forcella è incentrata quasi del tutto sul versante politico e istituzionale: anche la vicenda dell'attentato di via Rasella e dell'eccidio delle Fosse Ardeatine è ricordata soprattutto per le ripercussioni che divisero il mondo antifascista e i vertici del Cln, lasciando sullo sfondo la vita di quelle masse attendiste che subivano il terrore nazista e i bombardamenti alleati e speravano in una rapida liberazione. La presenza nei conventi dei dirigenti politici di maggior spicco, compresi quelli della sinistra, è ricordata mettendo in evidenza il carattere contraddittorio dell'intera politica ciellenistica nella capitale. L'incapacità di Nenni di rendersi conto che il compromesso vaticano con nazisti e fascisti era lo stesso che gli permetteva di scrivere il proprio diario in una stanza protetta del Laterano va di pari passo con la riconsiderazione, in un contesto comparatistico amaro e disincantato, del "silenzio" di Pio XII di fronte alla deportazione degli ebrei e alle violenze naziste più in generale. Forcella trova ingeneroso, anche se storicamente abbastanza esatto, il giudizio severo dato da storici e scrittori su papa Pacelli in questa circostanza; ma non può fare a meno di notare quanto il medesimo silenzio e gli stessi interessati compromessi fossero condivisi in tutto o in parte dagli stessi vertici antifascisti che cercavano a Roma di tessere la tela della futura vita politica nazionale e al contempo di salvare se stessi e i propri familiari.
Prendendo ad esempio l'immagine "poetica quanto incongrua" con cui Rosetta Loy lamenta l'assenza di Pio XII di fronte al convoglio che sta portando gli ebrei romani verso il loro tragico destino, Forcella aggiunge: "Fantasia per fantasia, si potrebbe osservare che alla stazione di Trastevere avrebbero potuto esserci anche gli uomini del Gap o di qualche altra squadra della resistenza armata, per bloccare con uno dei loro spericolati colpi di mano la partenza dei vagoni piombati. Neppure i membri del 'governo ombra' sembrarono rendersi conto della tragedia che si stava consumando sotto i loro occhi". È l'indifferenza e la sottovalutazione generalizzata del destino degli ebrei quello che Forcella intende sottolineare, a fronte di un'accusa che si è invece per lo più concentrata sul comportamento del pontefice. Non è una difesa personale quella che Forcella conduce contro la "demonizzazione dell'attendismo"; ma un modo per cercare di andare avanti e in profondità nella spiegazione di un fenomeno che coinvolse la maggior parte della popolazione. E che non basta ricondurre sotto la voce "altre forme di resistenza".
Nuovo, invece, per l'argomento trattato - che, oltretutto, per quanto oggetto di polemiche negli anni recenti, resta ancora un terreno in gran parte celato all'indagine storiografica e perfino alla memorialistica e al racconto autobiografico -, è il volume di Mirco Dondi, La lunga liberazione. Giustizia e violenza nel dopoguerra italiano. Il tema, oltreché oggetto in passato di un non brillante dibattito tra accusatori e difensori della violenza partigiana postbellica, è troppo vasto e complesso per poter essere riassunto in modo definitivo ed esauriente da uno studio che si pone come pionieristico; e che apre squarci importanti, sia sul versante della documentazione sia su quello della narrazione e della ricostruzione dei fatti. Dondi si misura con i diversi aspetti che la questione richiama, a partire dal clima di violenza lasciato in eredità dal conflitto e dalle forme assunte dall'occupazione e dalla guerra civile. La giustizia e il suo funzionamento e i suoi risultati; la delinquenza comune e la sua fenomenologia; la violenza insurrezionale e i simboli e le forme che assume immediatamente dopo la liberazione; la violenza "inerziale" della smobilitazione e della normalizzazione; quella "residuale" con connotati politici e di classe.
I dati, le statistiche, le notizie e il racconto su singoli episodi e su fatti maggiori e minori ripescati dalla cronaca dell'epoca costituiscono l'ossatura di questo studio. La proporzionalità tra il peso della violenza subita in guerra e il tasso di violenza che perdura negli anni successivi consente di delineare una geografia utile alla comprensione anche politica dell'Italia repubblicana. Il quadro che ne deriva è forse un po' troppo frammentato e poco attento ai caratteri antropologici e sociali, sacrificati a una lettura prevalentemente politica degli avvenimenti. Ma è un punto d'avvio che apre la possibilità d'indagare finalmente con un'ottica di respiro storico un periodo che ancora necessita approfondimenti e attende interpretazioni convincenti.

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