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Difficile non farsi toccare da una storia così potente, a cui i lettori che avranno il privilegio di accostarsi. Potranno fare esperienza dell’inquietudine che solo la scrittura della vita reale è capace di restituire, quella che parla del qui ed ora,. È la scrittura che supera l'immaginazione letteraria e diventa sostanziale. Lorena nel suo lavoro e nella sua vocazione fa incessantemente dono di sé stessa; Yazib è attualmente a pochissimi passi dal fine pena e ha l’età della saggezza e la postura per poter rileggere il proprio passato, senza paura. Del suo paese d’origine, l’Algeria, ha sùbito conosciuto il volto peggiore, violento. Era un ragazzino, quando nel 1985 scoppiò la guerra civile e dopo il colpo di Stato i militari presero il potere. In una famiglia di umili lavoratori come la sua e come in tantissime altre, i soldi sembravano non bastare mai. La strada era la risposta, il modo per portare il guadagno sicuro a casa. In ciò che faceva, Yazib era uno dei migliori, “la leggenda”. Col passare del tempo e degli eventi, dovette lasciarsi alle spalle tutto ciò che aveva costruito e tutto ciò che aveva demolito. In Italia, sembrava possibile ricominciare. “Ma il male ti perseguita”, direbbe l’autore. I due, Lorena e Yazib, s’incontrano tra i banchi di scuola, dietro le sbarre del carcere. Lorena fa fare le operazioni algebriche per aiutare gli studenti a guardare sé stessi e scoprire la logica del proprio ragionamento; fa vedere i dipinti di Caravaggio per celebrarne l’umanità e il chiaroscuro che contraddistingue ognuno di noi, fa ascoltare “Bocca di Rosa” e “La canzone di Marinella” per parlare di amore. Le lezioni si trasformano in un incontro. Yazid impara a superare la diffidenza, decide di affidare a Lorena i suoi ricordi e la lezione che gli hanno lasciato dentro. A noi è data la possibilità di leggere il suo diario, suo spazio intimo e sacro. A noi stato fatto il dono di una storia di speranza.
Esistono molte convinzioni e giudizi sommari per cui persone e luoghi siano da allontanare nella cosiddetta vita normale. Uno di questi luoghi da perdere è il carcere ma soprattutto sono degne di essere dimenticate le persone che ci trascorrono parte della loro vita. Lorena Armiento invece, nel suo denso lavoro di scrittura, dà voce, memoria e prospettiva a una di queste persone, simboleggiando così l’abbattimento di quel margine divisorio di cui si parlava precedentemente. Nella scansione dialogica tra lei e Yazid si materializzano i ricordi, i racconti di una vita difficile del protagonista che, affidandosi alla sua prof di matematica, si convince a ripercorrere le vicende traumatiche della sua esistenza. Vicende che si snodano in anni e anni e in luoghi lontani tra loro ma che non cancellano alcuni giorni particolari “il giorno più doloroso”, “ il giorno più nero”, che Yazid fissa nella sua memoria come cardini incancellabili del suo racconto. Yazid si presenta proprio così “la mia è la vita di uno straniero” (Algeria) e subito sorgono echi memoriali di ogni tipo a partire da Camus passando per Leogrande, facendo riemergere Gillo Pontecorvo arrivando addirittura a Charles Foucauld, Carlo Carretto, ai monaci trappisti di Tibhirine. Ma forse il vero tema del libro è il passaggio di consegne morali che Yazid vuole fare nella e della sua vita “eredità per tutti quelli che la leggeranno”. Nei lunghi giorni trascorsi in carcere a fumare e guardare “ il cielo a quadretti” Yazid ha maturato l’esperienza del saggio, ha allontanato da sé il male, scandalizzandosene, e questo percorso di discernimento e di consapevolezza personale lo ha portato ad assaporare la dolcezza del bene, del gesto gratuito e gratificante verso gli altri che apre il cuore e lo orienta alla pace, a quel “respiro della speranza” che ogni giorno ci mette in cammino protetti da una luce, pur non conoscendo la meta da raggiungere. Grazie all'autrice per la sua sensibilità nel raccontarci questa storia
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