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Due ragazzi si incontrano, per caso, a una funzione funebre. Due esseri sperduti e fragili, con un dolore comune. Enoch ha perso i genitori in un incidente d'auto, si è risvegliato da un coma lungo tre mesi e sopravvive, frequentando cerimonie funebri in un percorso espiatorio, accompagnato da un amico immaginario, un fantasma, quello di Hiroshi, un pilota kamikaze giapponese in volo nei cieli della Seconda Guerra Mondiale. Annabel è malata gravemente e lo sa: un tumore cerebrale le conta i giorni di vita. L'incontro è tra due giovinezze sbocciate e interrotte, tra due fragilità timide, fatte di sorrisi a occhi bassi, di timore e tremore, di connivenza quotidiana con la morte. L'amicizia e l'amore potranno riscattare quella manciata di giorni che restano a lei, darvi un senso eterno, cristallizzato nel ricordo di lui. Gus Van Sant non finisce di sorprendere. Il regista di adolescenti malati in una società malata, di inquadrature ampie a cogliere i dettagli che circondano mondi senza senso, dopo l'ossigeno e l'impegno civile di Milk, ritorna a due giovanissimi ma "restringe" il suo obiettivo, lo focalizza su di loro, crea un universo privato e intimo in cui i due straordinari attori rappresentano il loro incontrarsi. Perché sono davvero eccezionali gli interpreti, Mia Wasikowska, Alice per Tim Burton, con i capelli cortissimi che ricordano, anche negli sguardi, la fragilità apparente di una giovane Mia Farrow e Henry Hopper, figlio di Dennis, che ne rammenta le occhiate sensibili, il celarsi dietro palpebre abbassate. Van Sant porta sullo schermo una vicenda romantica, evitandone le trappole, con una delicatezza e un pudore che commuovono, senza ricercare lacrime facili ma volando leggero e profondo alla ricerca del significato del vivere, sempre così intrecciato alla sua fine. Van Sant ci parla di morte in ogni attimo del film ma la supera, la depauperizza attraverso un evento - l'innamoramento - che non può essere che slancio vitale.
Lo straordinario stile artistico di Van Sant non gli garantisce di sfornare solo capolavori: il suo referente Bresson c'è riuscito poiché, film dopo film, con un approfondimento irrefrenabile ha insistito nello sviscerare gl'argomenti più ardui, l'insostenibile problematicità dei massimi sistemi. Invece Van Sant, dopo "Elephant", non ha mostrato affatto un'analoga costanza e pervicacia. Questo "Restless" sembrerebbe fare eccezione, il suo preziosissimo merito di trattare con delicato pudore temi tanto atroci, crudi e crudeli induce a pensare, stimola un flusso davvero copioso di riflessioni. Qui il "cancer movie" assurge a metafora dell'intera esistenza: "L'amore che resta", sì, ma in persistente regime di mortalità, fra l'amore ch'esige e pretende eternità e, forse in un circolo virtuoso, l'amore che, se assoluto e perfetto, potrebbe ottenere e raggiungere l'eternità. Però non c'è stile che tenga quando l'opera è a tesi, la tesi viene espressa nei pochi secondi dell'ultima scena in cui si decanta lo scioglimento della trama, e la tesi è un obbrobrio intellettuale: "Cogliete l'attimo". Grazie, Maestro, la sua lezioncina di vita, l'appello a tirare a campare a oltranza cercando di cogliere il lato positivo d'ogni situazione, ci sembra d'averla già sentita infinite altre volte e coi toni più assordanti immaginabili: un lavaggio del cervello plurimillenario. Poche immagini conclusive e la montagna partorisce un topolino miserrimo cadendo nel più diffuso degl'errori qual è l'ipotecare il futuro in negativo o in positivo, se non nel nichilismo ottuso allora nell'ottimismo altrettanto ottuso. "Tertium non datur"? Secondo simili autori no, no di sicuro, no mai. Loro sono detentori di Verità & Certezze, appartengono ai Privilegiati cui sono state elargite Scienza Infusa, Palla Di Vetro e Macchina Del Tempo. Perlomeno non è detto, alla faccia loro, che cotanta presunta e presuntuosa autoconsapevolezza costituisca una fortuna.
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