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scheda di Spampinato, G., L'Indice 1994, n. 4
Può un dogma religioso sostenere l'inquieta ricerca di un poeta? Anzi, indicargli addirittura il punto di fuga capace di raccogliere tutte le linee prospettiche del suo disegno? Il dogma della risurrezione della carne, la sicurezza "per fede" di ritrovare in eterno il corpo proprio e delle persone care, di riscoprire nella perfezione l'inseparabile compagno dell'amore e del desiderio che ci ha sospinti in vita, rappresenta per Petrarca (come era stato per l'Agostino della maturità e per lo stesso Dante, che in pieno Paradiso si fa celebratore del "disio dei corpi morti") lo sbocco di tutta la sua impresa poetica e esistenziale. È questa la tesi di fondo del libro, tanto suggestiva che viene spontaneo accostarla all'interpretazione figurale che Auerbach applicò alla "Commedia". I punti di contatto non sono pochi: la compiutezza storica di Laura e dello stesso amore che il poeta le consacra, il desiderio destato dai famosi e mai descritti occhi, dagli aurei capelli ecc. diventano nel "Canzoniere" figura della caduta e redenzione dell'uomo, della fragilità della carne, della bellezza trionfante oltre la morte. Lo stesso ordinamento delle rime "in vita" e "in morte" deve essere ridiscusso alla luce di questa "folgorazione poetica": lo studioso ci offre a questo proposito una lezione di filologia intesa davvero come amore per la parola, polemicamente opposta all'odierna "inclinazione all'ingegneria testuale". Il "disegno" del "Canzoniere" non è "orientato come una specie di 'pilgrim's progress'", "non in vista di un rinnegamento ascetico-penitenziale della carne e della terra, ma di un avvicinamento della terra al cielo, o dal cielo alla terra": l'eterno "breve sogno" della poesia.
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