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Anno edizione: 2018
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Mi è sempre difficile commentare in negativo un libro, specie di poesia, ma qui trovo un po' di esibizionismo poetico. Minimalismo un po' forzato. Probabilmente mie sensazioni. Mi scuso, ma non mi dice molto.
Se non sapessi che l'autore si è occupato a fondo di Zanzotto, stenterei a riconoscere in questi testi l'opera di un esperto di poesia. Il suo minimalismo anti-retorico finisce col risultare inconsistente (v. la poesia "Il vetrino").
Poesia moderna, questa di Stefano Dal Bianco? Modernità dell'uso di versi tratti da canzoni in voga negli anni ottanta, come nei corsivi de La vita oscena sopra riportati? O come in Poesia che ha bisogno di un gesto, scrittura destinata alla recitazione, alla poesia che cerca di avvicinare la classicità e di fondere i temi del teatro, del monologo, del flusso interiore, della riflessione capace di coinvolgere un uditorio presente, obbligato all'ascolto così come avviene nel rapporto tra spettatore e palcoscenico. Ma nelle composizioni La poesia di oggi e Diario, non ultimi ci sembrano i richiami ad un frammentismo vicino alle Prosette quasi serene di Giovanni Boine composte nel 1916. Tempi e legami remoti, dunque, per la poesia contemporanea. Sovviene allora alla memoria un'invettiva ascoltata tempo addietro: esistono troppi libri già letti prima di scartare il cellophane che protegge la copertina. Non è sempre così. La poesia di Stefano Dal Bianco è opera attenta e meditata. Molti anni sono intercorsi tra questa e la sua prima prova del 1991. Ogni autore è dentro alla materia di cui tratta e nulla come una lettura, o una rilettura, è capace di scatenare l'estro della scritture. In fondo, quando leggiamo, andiamo alla ricerca non sempre di ciò che ha detto l'autore, ma di ciò che è già in noi, con parole diverse, con accenti diversi, mutuato dall'esperienza personale, nel quotidiano, e dall'importanza o primarietà che affidiamo ai nostri sentimenti, nella volontà di fare, con il ricordo, con la memoria, creazione letteraria, arte.
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