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Anno edizione: 2014
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Quest'anno l'ho preso alla lettera: se è vero che agosto prende il nome da Augusto, una lettura sul "divi filius" nel mese a lui dedicato una volta nella vita bisogna concedersela. In prima battuta, in realtà, più che concedermela me la sono imposta: perché regalarsi le circa seicento pagine di un'opera storiografica edita nel lontano (e poco augusto...) 1939 come lettura da ombrellone più che un'impresa degna delle "Res gestae" del fondatore dell'impero romano poteva sembrare di primo acchito piuttosto un invito al suicidio di catoniana memoria. E invece no. Perché "La rivoluzione romana" di Sir Ronald Syme (1903-1989) è uno di quei classici (cioè uno di quei libri che ci si sente autorizzati a citare senza mai averli letti) che ripaga immediatamente il coraggio di superare il timore reverenziale nei loro confronti lasciandoti a bocca aperta dopo pochissime pagine in virtù di almeno due enormi pregi: da un lato, a livello contenutistico, l'aver raccontato "la trasformazione politica e sociale che si verificò a Roma fra il 60 a.C. e il 14 d.C." (p. XXXIII) in modo nuovo e per certi versi dissacrante, spogliando la "statua" di Augusto dai tanti veli di retorica propagandistica sovrappostisi nei secoli; dall'altro, a livello formale, l'averlo fatto con uno stile più da letterato che da pubblicista scientifico, ciò che rende la lettura scorrevole e non di rado davvero piacevole e lascia la sensazione che in fin dei conti spesso le rivoluzioni siano una questione più di forma che di sostanza (se è vero che anche quella di Augusto non fu (sol)tanto la sostituzione della repubblica con una monarchia, ma quella della vecchia oligarchia nobiliare e senatoria con una nuova oligarchia per lo più equestre e militare legata al "princeps"). "Sul letto di morte non fu tormentato da rimorso per i suoi peccati né da preoccupazione per l'impero. (...) L'avesse meritato o no, la sua fama era sicura e aveva provveduto alla propria immortalità." (p. 581)
Comparso per la prima volta nel 1939 e profondamente influenzato - come non di rado accade ai migliori studi storici, secondo la massima blochiana di comprendere il presente attraverso il passato e il passato attraverso il presente - dalla cupa temperie dell'Europa sull'orlo del baratro ove l'avevano condotta i totalitarismi nazifascisti, The Roman Revolution di Syme ebbe il grande merito di rovesciare un radicato paradigma storico: quello, forgiato dallo stesso Augusto attraverso le proprie Res gestae e dalla martellante propaganda augustea nel corso del suo principato, di un principe illuminato. Elemento moderatore nella tradizionale efferatezza della lotta politica romana, sedizioso riluttante e motivato dal bene pubblico, infine salvatore e restauratore dello Stato dopo i torbidi delle guerre civili al piccolo prezzo della perdita delle tradizionali libertà politiche, appena due anni prima questa immagine idealizzante di Augusto era stata acriticamente riproposta dalla messe di studi agiografici comparsi in occasione del Bimillenario augusteo, fortemente voluto nel 1937 dal regime fascista. Adottando l'approccio prosopografico che lo avrebbe reso famoso Syme ricostruisce fisionomia e interessi del partito cesariano all'indomani dell'assassinio del dittatore e traccia la meteorica eppur resistibile ascesa del giovane erede designato; abile, ma non esente da errori da cui riesce sempre ad imparare e rialzarsi guidato da sicuro genio politico, il giovane ed ambiziosissimo Ottaviano è, per Syme, il primo golpista della storia. Un giocatore spregiudicato e - come doveva rimproverargli un filone della tradizione storiografica romana facente capo alla perduta opera storica di Asinio Pollione - un proscrittore di ineguagliata ferocia: la figura di Ottaviano si spoglia dell'esemplarità del futuro pater patriae Augusto e si rivela in tutta quella ambiguità che già era stata colta da Svetonio e dall'imperatore Giuliano, ammantandosi di una luce sinistra.
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