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scheda di Marconi, S., L'Indice 1998, n. 1
"Oggi, in sostanza, niente dei romanzi chiariani sembra in grado di suscitare il benché minimo interesse e coinvolgimento da parte del lettore contemporaneo": è con questa curiosa premessa che Clerici - storico della lingua e della letteratura italiana - studia intenti e struttura dei romanzi di uno dei nemici storici di Goldoni, Pietro Chiari. Chiari, gesuita bresciano venezianizzato, scrisse infatti - oltre alle più note commedie - molti romanzi, mescolando tradizione cavalleresca, teatro e trattatistica a materiali più popolari e più conosciuti. I suoi libri andarono a ruba, furono tradotti in altre lingue; lui li ampliò a ogni nuova edizione, dando loro titoli nuovi e gestendo come meglio poteva la propria popolarità. Le sue storie sono per la maggior parte storie di donne dalla nascita misteriosa, che intraprendono infinite incredibili avventure fino a recuperare l'originaria elevata posizione sociale, ed essere così pronte per matrimonio e vita adulta. I suoi personaggi non cambiano mai, i suoi romanzi sono impressionantemente uniformi e cercano di tradurre in storie principi morali espressi a priori, cercano di essere esemplari, di indagare i ragionamenti (non gli stati d'animo) dei personaggi per parlare dell'essere umano in generale. I romanzi di Chiari si fingono autobiografici: l'eroina, ormai saggia e matura, guarda al suo passato e lo racconta. Questo comporta prima di tutto che non ci sia suspense su quale sarà la conclusione della vicenda ma - semmai - soltanto su come quella conclusione verrà raggiunta: ogni elemento, ogni oggetto che compare è funzionale alla trama, "serve" perché possa succedere quello che deve succedere. In secondo luogo comporta lo sdoppiamento della protagonista in personaggio - allora - e narratrice - ora -, con il conseguente affiancarsi del piano del commento a quello della storia. Secondo Clerici è proprio questo uno degli elementi più caratteristici della scrittura di Chiari: l'aspetto didascalico, retorico dei suoi romanzi e l'interesse per l'interazione tra questo aspetto e la storia vera e propria sono centrali, tanto che "le grandi categorie narrative (personaggio, tempo, spazio) assumono un ruolo subalterno e una fisionomia sbiadita", non sono la cosa importante. Romanzi di questo tipo sono oggetti letterari molto diversi da quelli che noi siamo abituati a chiamare romanzi. Questo non toglie che il romanzo moderno nasca nel Settecento, che uno dei suoi aspetti più tipici sia quello della "polimorfia" (l'uso di materiali diversi, letterari ed extraletterari), che questi romanzi siano nuovi e originali e che - insomma - "il principale paladino del romanzo nell'Italia nel Settecento è dunque uno scrittore di second'ordine, Pietro Chiari". Chiari fu letto moltissimo, soprattutto da donne (alle quali la narratrice tende a rivolgersi, chiedendo solidarietà e comprensione in nome di una supposta vicinanza); da Chiari non si può prescindere - dice Clerici - se si vuole studiare la storia del romanzo italiano. L'analisi di Clerici è puntuale e riesce a incuriosire, nonostante la sua premessa. Un'interessante lezione su come hanno funzionato dei best seller e su perché oggi quegli stessi best seller risultino mortalmente noiosi; e non è poco.
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