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Anno edizione: 2016
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Un racconto febbricitante, sgrammaticato, visionario, al confine tra realta' e visioni mistiche. Valenti costruisce i personaggi e gli ambienti con pennellate, piu' che con coerenza. E con questa girandola di brevi immagini riesce lo stesso a creare un racconto avvincente che si sviluppa nel corso di vari anni, a cavallo del fascismo, tra malghe in Valtellina e fabbriche in valle. La storia di quegli anni e la vita in montagna sono dure e violente, crude, e fanno da corollario alla vita di Ulisse, il protagonista. Il quale, tra pazzia innata e dolore vissuto prova a non perdere il lume della ragione, cercando coerenza e appigli dove puo'. Un libro veloce da leggere ma con un impatto duraturo.
Recensioni
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Sangue e montagna. Questi sono i due elementi che si danno battaglia nel secondo romanzo di Stefano Valenti, già autore di La fabbrica del panico, sempre per Feltrinelli. Le montagne sono quelle della Valtellina, raramente descritte in modo così cupo e aspro. Il sangue è quello di una vendetta lungamente covata dentro di sé dal protagonista, Ulisse Bonfanti, fino a diventare un’ossessione. Negli anni Trenta il mondo contadino era ancora relegato in una condizione di durissima e impietosa povertà, a cui il lavoro nei campi di donne e uomini non riusciva a porre rimedio. Ulisse, la madre Giuditta e la sorella più giovane Nerina sono nati in quel mondo montano, caparbiamente legato ai pochi riti religiosi e a un minimo di solidarietà tra vicini. Lo scoppio della guerra mette a repentaglio quel poco su cui si fonda la sopravvivenza della famiglia, fra ribelli che si rifugiano in quota e rastrellamenti italiani e tedeschi. Ecco che si consuma il dramma destinato a segnare la vita di Ulisse, nel frattempo unitosi ai partigiani. Nerina non resiste a lungo alla vergogna per le violenze subite e compie un tragico gesto. Subito dopo Giuditta e Ulisse abbandonano la Valtellina per diventare operai di un cotonificio. Anche in fabbrica le condizioni di lavoro sono molto dure, nonostante qualche significativa conquista sindacale. Ma il tarlo della vendetta continua inesorabile a farsi strada nella mente di Ulisse, «come un roditore che rosicchi dentro il cranio». Forse, però, le radici del trauma affondano ancora più indietro nel tempo, in un’adolescenza contrassegnata da strane visioni allucinate, da incubi di natura religiosa.
Dalla citazione in apertura («Li ammazzeremo tutti», disse Milton. «Siamo d’accordo»), il modello dichiarato, forse troppo ambizioso, specie dal punto di vista linguistico, è Beppe Fenoglio, e in particolare Una questione privata. Di storie sulla Resistenza ne abbiamo lette tante negli ultimi anni, a volte troppo sbilanciate sul versante sentimentale, a volte sulla nuda cronaca storica. Rosso nella notte bianca prova a essere entrambe le cose, ma le parti migliori sono quelle in cui risalta la dolorosa psicologia del protagonista, che non ha mai trovato pace nell’arco della sua lunga vita. Certo, la guerra partigiana è una tappa fondamentale, ma scavando più a fondo si trovano la religione, la famiglia e un sistema di valori irrigidito, inteso come àncora di salvezza a cui aggrapparsi.
«La mia vita è una condanna perché è una condanna l’ordine in cui viviamo, l’ordine del mercato, dice Ulisse, e dice che questo è l’ordine più inumano di tutti, di tutti gli ordini, un incubo per chi non ha patrimoni, non nasce in famiglie che hanno influenza e non può contare altro che sul proprio lavoro».
Recensione di Damiano Latella
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