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La Russia. Storia di un impero multietnico - Andreas Kappeler - copertina
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La Russia. Storia di un impero multietnico - Andreas Kappeler - copertina

Descrizione


Questo volume si occupa di descrivere le fasi di formazione dell'impero russo e delle modalità di integrazione delle popolazioni conquistate. Di questo processo vengono prese in considerazione sia le dinamiche politiche che quelle socio-culturali, fornendo un vasto quadro generale della complessità dell'impero russo. L'ultima parte dello studio è dedicata all'URSS, in particolare all'evoluzione della politica delle nazionalità.
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Dettagli

2005
1 settembre 2005
XXI-485 p., Brossura
9788873131434

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qualche problema

Il libro è una interessante storia dell'Impero russo (XVI-XX secolo), concentrandosi in particolare sulla poliedricità etnica, culturale, religiosa e sociale delle popolazioni (dall'Europa orientale ai confini con la Cina). Il primo problema è che la lettura risulta un po' pesante: lo stile dell'autore non è decisamente dei più accattivanti. Il secondo problema è la traduzione, sbagliata in più di qualche punto e spesso non fluida. L'ultimo problema è invece la rilegatura del libro: pessima.

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Voce della critica

I primi lavori di Andreas Kappeler, di cui ora viene tradotta l'opera maggiore, sono stati dedicati all'assoggettamento da parte dei sovrani di Mosca dei tatari e delle altre popolazioni della regione del Volga nel XVI secolo; negli anni è poi diventato uno specialista delle zone occidentali, innanzitutto l'Ucraina. Il libro è un'analisi storica della struttura etnica e sociale dell'Impero zarista e della sua interazione con gli sviluppi politici.
Per il periodo "pre-nazionalista", Kappeler analizza i modi e i tempi dell'inglobamento delle diverse popolazioni nell'impero; in seguito, dopo la diffusione del nazionalismo e la modernizzazione tardoimperiale, è valutato l'impatto che i movimenti nazionalisti ebbero sulla politica governativa e sullo stesso destino dello stato zarista. Kappeler ci rende la complessità e la varietà delle società sottomesse allo zar e la pragmatica contraddittorietà delle politiche adottate da San Pietroburgo, oscillanti tra la violenza repressiva (anche culturale: si pensi alle campagne di conversione dei musulmani all'ortodossia nella prima metà del XVIII secolo) e l'integrazione delle élite delle popolazioni conquistate all'interno della nobiltà imperiale. Le differenti popolazioni si trovavano a diverse distanze culturali e sociali dal gruppo dirigente dell'impero. Le popolazioni in cui era presente una forte componente nobiliare (ad esempio georgiani, polacchi, tedeschi del Baltico), quelle in cui la nobiltà – ma anche i ceti emergenti – conservava memoria di passate tradizioni statali (ancora i polacchi) e quelle in possesso di un'alta cultura o di un'alfabetizzazione diffusa (estoni, lettoni, tedeschi) ebbero un'importanza maggiore per l'evoluzione economica e politica dello stato zarista rispetto alle altre.
La circostanza cruciale, per quasi tutta la storia dell'impero, era data dal fatto che molti gruppi nazionali possedessero una struttura sociale "incompleta". Alle nazionalità rurali (contadini – come gli ucraini e i bielorussi – o nomadi – come burjati e kazachi) si contrapponevano i "gruppi mobili diasporici" di diverso tipo (soprattutto gli ebrei, ma anche armeni e tedeschi) specialisti nella mediazione, nel commercio, nelle attività imprenditoriali, nella medicina e nella diplomazia, che si trovavano in una posizione di fragilità e di dipendenza dal governo centrale, ma delle cui competenze il governo aveva un vitale bisogno, almeno fino a quando l'industrializzazione e la crescita dell'istruzione alla fine del XIX secolo non iniziarono a colmare i "vuoti" della struttura sociale di altri gruppi nazionali.
Vista dal palazzo d'inverno, la varietà culturale e religiosa dei sudditi poteva essere ordinata secondo alcune categorie in una specie di "gerarchia di nazioni". La discriminante più importante, agli occhi del governo pietroburghese, era la fedeltà del gruppo nei confronti dello stato (minima nei popoli nomadi, massima tra tedeschi, finlandesi, armeni). Significativamente, i russi non erano al vertice della scala di affidabilità: la rivolta decabrista del 1825 aveva insegnato a diffidare della nobiltà liberaleggiante, mentre i contadini ortodossi russofoni avevano mostrato la loro capacità sovversiva nelle grandi rivolte del XVIII secolo. Proprio il posto dei russi, i quali secondo criteri economici e sociali erano una nazione più "arretrata" di molti altri gruppi nazionali che abitavano l'impero, differenziava lo stato zarista dagli altri imperi europei (ma non dall'impero ottomano, dove i turchi occupavano una posizione simile nei confronti di greci, armeni ed ebrei). Da Pietroburgo si distinguevano poi i gruppi nazionali in base al criterio cetuale: le più vicine al centro erano quelle etnie la cui nobiltà era stata cooptata in quella russa, le più lontane quelle popolazioni contadine prive di nobiltà, la cui identità di gruppo era negata. Tanto più se la vicinanza culturale permetteva una rapida assimilazione dei componenti di tali popolazioni che avessero asceso la scala sociale (è il caso di ucraini e bielorussi fino al XIX secolo). Proprio la distanza culturale (in cui la religione ebbe un posto molto più importante della lingua per buona parte della storia dell'impero) era il terzo criterio fondamentale.
A partire dal XVIII secolo, quando il ceto dirigente venne sempre più europeizzandosi, l'idea di una missione civilizzatrice tra le popolazioni arretrate iniziò ad affermarsi, mentre la conquista dell'Asia centrale nel XIX secolo venne interpretata in Russia come un capitolo della generale colonizzazione europea. La politica dell'integrazione della nobiltà della popolazione sottomessa era ormai cosa del passato, e i centroasiatici rimasero soggetti coloniali fino al crollo dello zarismo. Molto era nel frattempo cambiato con la diffusione del nazionalismo. L'impero dinastico dalla politica ondivaga e pragmatica si trovò a fare i conti con un principio eversivo dell'ordine politico su cui si fondava. Lo stesso nazionalismo russo tardoimperiale era una forza disgregatrice che il governo temeva e strumentalizzava con parsimonia. Nonostante le spinte centrifughe dei nazionalismi, l'impero non crollerà comunque a causa loro. Fu la perdita di legittimità dovuta alla crisi portata dalla prima guerra mondiale a essergli fatale: i Romanov furono abbattuti dagli abitanti di Pietrogrado, mentre "il resto del paese si adeguò", come scrisse Trockij.
Il lavoro di Kappeler è fondamentale per le prospettive interpretative che apre grazie all'analisi incrociata della struttura cetuale, nazionale e di classe della società imperiale (propedeutico alla stesura di questo lavoro è stato un approfondito studio del censimento generale del 1897, l'unico della storia zarista). Tuttavia, come sarà ormai parso chiaro, l'approccio seguito rischia di ipostatizzare nel tempo i gruppi nazionali, di fare insomma una storia di cui le "etnie" (termine usato da Kappeler) diventano i soggetti. Kappeler segue lo schema di Miroslav Hroch sullo sviluppo del nazionalismo, integrato dalla lezione di Gellner, nel mostrare la nascita di movimenti nazionalisti di massa quando lo sviluppo industriale e la diffusione dell'alfabetizzazione produssero i loro effetti sulla società (anche se sono evidenziati i casi che si discostano dal modello, come il nazionalismo nobiliare polacco erede delle tradizioni statali del Gran principato di Polonia-Lituania). Kappeler non evita così la distorsione insita in ogni approccio "multietnico", ovvero il rischio di diventare essenzialista e teleologico. Facendo la storia solo delle costruzioni nazionali riuscite si dimenticano quelle fallite, eliminando i tanti "futuri passati" che sembravano, e in molti casi erano, possibili.
La storiografia degli ultimi anni sta affrontando questi problemi (penso ad esempio ai lavori di Timothy Snyder), del resto più facili da risolvere quando si scrivono monografie (se non biografie o prosopografie) invece di opere di sintesi, basate su una sterminata letteratura di qualità diseguale. Il lavoro dello studioso svizzero rimane in ogni caso la migliore sintesi interpretativa della storia imperiale zarista scritta finora, nonché, incidentalmente, il migliore manuale universitario in italiano di storia zarista che affronti un periodo tanto vasto, dal XVI al XX secolo.
  Niccolò Pianciola

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