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La leggenda di Sade attraversa quasi due secoli mantenendo pressoché intatti i propri contorni di esemplarità esecrabile, tutt’altro che incrinati, anzi in un certo senso rinsaldati, dal conio del termine “sadismo” e più tardi dalle sue interpretazioni freudiane e post-freudiane.Ma Donatien-Aldonze-François de Sade, di nobile famiglia provenzale che vantava tra i propri antenati la Laura di Petrarca, poteva davvero definirsi sadico? Per rispondere a un interrogativo tanto complesso, che è quello dell’autore, è necessario innanzitutto penetrare, il più profondamente possibile, nelle vicende di un’esistenza e nella mentalità di un’epoca: è in tale viaggio, appunto, che Pauvert accompagna il lettore, guidandolo attraverso una fitta rete di citazioni tratte da lettere, diari, memoriali e gazzette dell’epoca.si ricostruisce così, in larga parte narrato dai protagonisti stessi, l’intreccio difficile e inquietante dell’avventura sadiana: l’infanzia povera di amore, il collegio, la carriera militare, il matrimonio e i figli – il destino, insomma, prefigurato a un giovane della sua classe dalla famiglia e dalla società -, ma anche e soprattutto il progressivo imporsi di una vocazione trasgressiva, dalla smodata e rovinosa passione per il teatro alle prime e solitarie esperienze di un'”anuma ardente” (l’affaire di Arcueil, lo scandalo di Marsiglia, le “ragazzine” di Lione, i misteri del castello di la Coste…)Nel 1777 – anno con il quale si conclude questo primo capitolo biografico – Sade ha trentasette anni, e gliene rimangono altrettanti da vivere: saranno gli anni della Bastiglia, di Charenton, e soprattutto della scrittura, di un lavoro letterario delirante e ossessivo. L'”innocenza selvaggia” ha chiuso il so ciclo, e con essa l’apprendistato a una irripetibile, tragica carriera di libertino.
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