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Anno edizione: 2019
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Che donna forte è Carolina, sposa a 35 anni e solo perché innamorata perché fino ad allora aveva pensato a se stessa come libera e indipendente. Quattro figli, si sobbarca la gestione di una famiglia numerosa, affronta la seconda guerra mondiale con la memoria ancora viva della Prima Guerra e affronta il presente pensando sempre a sistemare per sé e per i suoi il futuro. Nulla la abbatte, anche se qualche volta si lascia andare alla malinconia, ma solo quando è ben certa che nessuno possa vederla. Sarta di professione “Veste mezza Napoli e dall’altra metà è copiata” e non rinuncerà mai al suo lavoro perché senza si sente inutile. Donna moderna e avanti rispetto ai tempi , ama smisuratamente suo marito e lo amerà anche dopo la sua morte, ma non evita di “battibeccare” quando vuole far accettare una propria idea. Il tutto in una Napoli viva e sempre bella, anche sotto le bombe, in un romanzo in cui la lingua napoletana la fa da padrona ( quanti ricordi, nella mente mia nonna e il suo modo di parlare, mio padre e le battute in vernacolo) e rende viva l’intera narrazione. Leggendo, ho avuto l’impressione di essere lì, in quel palazzo di Via Chiatamone.
Splendido
Napoli alla vigilia della seconda guerra mondiale. Carolina è una sarta di alto livello gerente di una delle sartorie più in di Napoli. Ma è anche una donna determinata, ingegnosa e generosa. Quando inizia ad annusare aria di guerra stipa la cantina di casa sua di ogni tipologia di cibo a lunga conservazione in attesa dei tempi bui. Perché Carolina sa che guerra e fame sono sorelle e dove c'è la prima immancabilmente c'è anche la seconda. Nel frattempo, Carolina continua a lavorare, cucendo per i nobili della città e per i tedeschi e con il suo guadagno compra da mangiare per la sua famiglia e per tutti gli amici che vivono in casa sua. Non si perde mai d'animo nemmeno quando sembra che al peggio non ci sia fine. E sarà proprio la sua determinazione a dare la forza agli altri di non demordere mai . Consigliato a coloro che anche nei momenti più neri non si lasciano mai andare e che lottano in ogni modo per trovare una soluzione ai problemi.
Recensioni
Napoletana che vive a Roma, Marinella Savino è tornata con la mente e con la scrittura nella città natale per il suo romanzo d’esordio. E ha scelto una madre coraggio intraprendente, una semplice cucitrice che si trasforma in sarta di grido, una donna che molto lucidamente vede e capisce quel che altri nemmeno vagamente intuiscono, e che in guerra battaglia senza tregua per la salvaguardia dei cari, il marito Arturo («l’opposto di Carolina. Un metro e ottanta di buone maniere e cultura»), i figli e anche altri che magari sono rimasti senza casa, le cui abitazioni sono divenute macerie per le bombe: le famiglie della sorella e di una grande amica troveranno riparo presso di lei. Carolina Esposito, questo il nome di un personaggio femminile che resta a lungo nella memoria, capisce tutto già nel corso della parata di Hitler, che arriva a Napoli nel 1938. Lentamente l’ossessione della donna diventa la cantina: stiparla di viveri, fare scorta per quando piomberanno addosso tempi di buio e povertà, diventa la sua missione, con la chiave della porta sempre al collo.
La sartoria di via Chiatamone (176 pagine, 16 euro) è una delle scommesse della casa editrice Nutrimenti, che ha puntato Marinella Savino, dopo la sua partecipazione al premio Calvino, storicamente una fucina di talenti. Ha creduto in una storia di grande tensione, di resistenza al femminile, talvolta anche di ironia, e in un congegno linguistico che non disdegna pennellate di dialetto (in certe espressioni, nei dialoghi, nella stessa sintassi italiana). La distruzione aleggia a lungo nella pagine del romanzo, ma l’amore per la sopravvivenza e per la vita è sempre più forte di tutto, più della disperazione, più di tre anni di bombardamenti, del coprifuoco e delle tessere annonarie. «La dichiarazione di guerra al mondo – si legge – non la fece Hitler, invadendo la Polonia. La fece Carolina, quando si convinse che una guerra ci sarebbe stata e lei doveva attaccare prima ancora di tutti gli altri, per difendersi e difendere la sua famiglia.»
Fra incertezza e terrore la Donna Carulì di Marinella Savino potrebbe ricordare certe figure femminili della più bella tradizione partenopea. È un inno vivente alla libertà, più di mentale che di azione, ma tanto basta a renderla indomita e vincente. La sartoria di via Chiatamone sforna vestiti speciali per signore altolocate, anche per alcune che – in altri tempi, prima della guerra non si bada al sottile – non sarebbero state accontentate. Questo romanzo è una lettura preziosa, coinvolgente, a tratti commovente. Ci ricorda chi siamo stati, la differenza fra pavidi e coraggiosi, il genio femminile, e tutto quello che è antidoto alla disperazione.
Recensione di Giovanni Leti
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