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Il lettore a conoscenza della biografia di Uwe Johnson (1934-1984), scrittore tra i più importanti sulla scena letteraria tedesca del secondo dopoguerra, non può che rimanere stupito di fronte a questo testo, che è sì la narrazione di un "infortunio", ma anche la rielaborazione letteraria di un fatto intimamente privato. Si narra la storia di J. Hinterhand, alias Joachim de Catt, trovatello di presunta origine ebraica, nato nella località fittizia di Gneez nel 1906, morto a New York nel 1975 e scrittore di successo nella Germania prenazista. Invitato negli Stati Uniti per tenere una serie di conferenze, non potrà far ritorno in patria a causa della presa di potere di Hitler. Ma quel che più importa, la narrazione ruota attorno al rapporto del protagonista con la moglie che rappresenta per lo scrittore il trait d'union tra sé e il mondo esterno, l'interlocutrice e il modello privilegiato nella produzione letteraria, nonché l'altra metà ideale, capace di ricomporre l'unità androgina, venuta meno per volontà di Zeus. La scoperta del tradimento della moglie e la sua uccisione non rappresentano allora solo il crollo di un ideale amoroso, ma implica una spietata correzione della percezione personale e la lenta, ma inesorabile distruzione dell'identità, proprio perché costruita sulla reciproca proiezione nell'altro. Rendersi conto che "nel bel mezzo di una vita falsa gliene avevano simulato una vera" provoca il blocco definitivo della coscienza, e al protagonista non resta altro che ammettere che "la vita umana si compie e fallisce nel singolo Io. Mai altrove". Dalla prospettiva di questo presente il passato deve allora essere riconsiderato, ogni immagine della memoria viene sottoposta a rettifica mentre il futuro è segnato dalla punizione di dover sopravvivere.
Concepito già nel 1975, all'inizio di un blocco creativo durato dieci anni e provocato dalla scoperta del tradimento da parte della moglie, il testo verrà pubblicato per la prima volta solo nel 1981, in un volume collettaneo uscito in occasione dei settant'anni di Max Frisch. Tuttavia, come sottolinea Luigi Reitani nel bel saggio che accompagna il racconto, lo Schizzo di un infortunato non è solo la trasposizione letteraria di un fatto personale, ma si presenta piuttosto come fitto dialogo intertestuale con diversi autori e diventa momento di riflessione sulla possibilità o meno di descrivere l'esistenza umana in tutte le sue contraddizioni. Non è un caso che il testo sia dedicato a Max Frisch, "il biografo, il rappresentante dell'inconciliabilità tra identità e ruolo ufficiale". D'altra parte lo stesso Johnson ha fatto del dato biografico uno dei principi fondamentali della propria produzione letteraria rappresentando già nelle opere precedenti, da Congetture su Jakob fino a I giorni e gli anni, le contraddizioni che compongono le infinite biografie. Ora, nello Schizzo di un infortunato, non si tratta più di descrivere i singoli individui nelle connessioni con altre persone, ma di veder minata l'immagine che l'individuo stesso ha del proprio io. Quel che ne risulta è un testo narrato tramite il discorso indiretto, teso a dimostrare l'infinito lavoro di revisione della mente e l'impossibilità di dar credito a ciò che si considera la realtà. Il discorso indiretto tedesco, è noto, non è di facile trasposizione in italiano, ma la traduttrice Rosella Rizzo ha ben saputo ridare il tono del testo inserendo a intervalli regolari verbi dichiarativi che aiutano il lettore a rievocare la natura del racconto.
Viviana Chilese
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